Talal Khrais è un’istituzione del mondo dei reporter di guerra. Libanese, sempre in prima linea su vari fronti di guerra come la guerra nel suo paese di origine, in Siria e in Armenia. Durante la guerra in Siria nota come il giornalismo di guerra sia cambiato radicalmente diventando sempre più allineato ad un pensiero unico che sta divorando il confronto equilibrato di diverse prospettive in gioco. Rilascia un’ intervista esclusiva per Tota Pulchra.
Dott Khrais, lei ormai è un veterano del giornalismo di guerra. Quale è stato il momento o i momenti che le sono impressi più nella memoria nella sua pluridecennale carriera?
Essere un reporter militare per 35 anni significa avere ricordi, tanti ricordi. Per esempio ricordo sempre i bambini innocenti che cercano disperatamente tra le macerie i genitori persi. Un reporter qualche volta davanti certi scene si dimentica di essere al lavoro e cerca di aiutare la gente. Non posso dimenticare i colleghi persi davanti miei occhi in Siria durante la mia permanenza. Ricordo la lotta di tanta gente per resistere e la solidarietà tra loro.
Quando ogni tanto ritornavo in Italia trovavo la gente litigare per cose stupide, come: ora è il mio turno oppure questo è il mio parcheggio. Tanti egoismi.
Esistono ancora bravi reporter di guerra? Oppure la formazione attuale non è più adeguata e realmente professionalizzante?
In Italia il giornalismo si è ridotto a schiavitù. Gli organi di informazione sono controllati dai partiti che non hanno più ideologie e qualche volta sono privi di morale. I giornalisti, la maggior parte, sembrano portaborse del direttore promosso dalla politica.
È il direttore del TG per esempio che chiede al giornalista o addirittura a un corrispondente in campo cosa deve scrivere.
La guerra in Palestina denota un aumento di fake news nei media, italiani ed occidentali. Ne conviene?
Fake news perché non bisogna dire la verità. Dire la verità vuole dire rispettare il diritto internazionale, riconoscere il diritto a un popolo in lotta da 75 anni di occupazione. Dicono cose false per liberarsi di impegni presi dall’Italia che ha fatto marcia indietro: parlare dei diritti del popolo palestinese e non votare per loro nell’assemblea generale dell’ ONU, parlare della necessità di fermare il genocidio a Gaza ma astenersi quando si vota per il cessate il fuoco.
Fake news per nascondere l’ipocrisia.
Lei libanese, il Libano dà segnali di ripresa economica oppure la stasi è senza ritorno?
Il Libano è un piccolo paese, il suo destino è essere nel Medioriente, coinvolto nei diversi conflitti. Doveva essere neutro, sostenere la causa palestinese ma non essere coinvolto. Il paese vive del turismo e delle piccole e medie imprese.
Più volte intere città distrutte ma ricostruite grazie alla volontà dei libanesi, della loro audacia, guardano sempre al futuro.
Il Libano, forse unico paese dove vivono insieme 18 comunità religiose e partecipano in pieno titolo alla vita politica e sociale. Il Libano, paese dei Cedri è stato chiamato da Papa Giovanni II, non è un Paese ma un messaggio di Dio sulla terra.