”Gaspare Mutolo è un uomo la cui vita è stata segnata da esperienze straordinarie e contrastanti. Nato in Sicilia, ha trascorso gran parte della sua giovinezza immerso in un contesto culturale e sociale complesso, dove la mafia esercitava un’influenza pervasiva. Negli anni ’80, Mutolo è diventato un membro attivo di questo mondo oscuro, vivendo a stretto contatto con la violenza e la corruzione. Tuttavia, la sua vita ha preso una piega inaspettata quando, durante un periodo di detenzione nel carcere di Sollicciano, ha scoperto una passione per l’arte che avrebbe cambiato il corso della sua esistenza. Attraverso la pittura, è riuscito a esprimere le sue esperienze passate e a riflettere sull’oscurità della sua gioventù, trasformando il dolore in creatività. Oggi, Mutolo è un artista riconosciuto, il cui lavoro non solo celebra la bellezza della sua terra natale, ma funge anche da potente testimonianza della sua redenzione e della lotta per una vita migliore. La sua storia è un esempio di come la creatività possa emergere anche nei contesti più difficili, offrendo speranza e ispirazione a chiunque si trovi a dover affrontare le proprie ombre.”
Signor Mutolo, lei è un artista. Qual è il significato dell’arte per lei? Ha scoperto questo talento col tempo o sapeva già di possederlo?
Per me, l’arte ha rappresentato un percorso di scoperta e crescita personale. Inizialmente, la mia passione si manifestava attraverso l’acquisto di dipinti, ma non mi sentivo in grado di creare opere mie, principalmente perché non avevo ricevuto alcuna formazione artistica. Negli anni ’80, ho iniziato a collezionare quadri, riempiendo il mio appartamento con opere che mi affascinavano. Era interessante notare come la polizia si fermasse spesso per ammirare la mia collezione. La vera illuminazione riguardo alla mia passione per la pittura è avvenuta nel 1983, durante la mia permanenza nel carcere di Sollicciano, dove ho avuto la fortuna di incontrare un talentuoso pittore, un certo “Aragonese”. La sua vita, segnata da drammatiche vicende personali, mi ha profondamente ispirato e mi ha insegnato i fondamenti della pittura. Questa esperienza ha acceso in me un’ossessione per l’arte. Ricordo anche un critico d’arte, Antonelli, che mi ha fatto notare che un vero artista ha sempre una storia da raccontare, e senza di essa, l’autenticità dell’artista stesso viene messa in discussione.
La sua arte è caratterizzata da colori vivaci e freschi, tipici della sua Sicilia. In molte delle sue opere compaiono figure scure che sembrano invadere la serenità delle scene rappresentate. Può approfondire questo aspetto?
Quando mi dedico alla pittura, accendo sempre la radio; da quando ho perso la mia compagna, la musica è diventata una mia costante e la pittura una vera e propria forma di compagnia. La musica evoca in me ricordi della mia vita passata, quella di un mafioso, e i personaggi scuri che affollano le mie memorie. Questi ricordi riaffiorano nella mia mente e cerco di esprimerli attraverso le mie opere. Le figure scure nei miei dipinti simboleggiano non solo il mio passato, ma anche le ombre che ognuno di noi porta dentro di sé. La pittura diventa così un mezzo per trasmettere la complessità delle emozioni e delle esperienze che ho vissuto.
Nelle carceri, dove ha trascorso parte della sua vita, ci sono persone che, se paragonate a usurai e profittatori, sembrano quasi “non colpevoli”. Papa Francesco ha voluto trasmettere questo messaggio. Qual è la sua opinione in merito?
Per me, il carcere è un luogo che assomiglia a un albergo, un semplice passaggio nella vita di molte persone. All’interno di queste mura si possono incontrare individui di ogni tipo, alcuni giunti lì per pura casualità, altri che provengono da un contesto politico ben diverso. Sulle aule di giustizia si afferma che la legge è uguale per tutti, ma nella realtà dei fatti, questa uguaglianza è solo un’illusione. La politica, purtroppo, è un esempio lampante di questa disparità. Ho sentito parlare di un giovane di Caivano la cui storia ha suscitato molte polemiche. I politici, a mio avviso, sembrano più interessati a questioni superficiali, come quelle riguardanti i migranti, piuttosto che affrontare i problemi reali e urgenti che affliggono la nostra società.
Il suo passato da mafioso è stato ricco di episodi significativi e di incontri importanti. Spesso si ha l’impressione che in quegli ambienti esistano codici di onore e rispetto. Era davvero così? E come si confronta questa visione con la degenerazione della criminalità organizzata attuale?
Quando sono entrato nel mondo della mafia, ho notato che l’organizzazione era molto diversa rispetto a quando ne sono uscito. Ho fatto parte di un gruppo che si opponeva ad altre famiglie mafiose, cercando di instaurare una sorta di rivoluzione nel 1969. Per affermarci, abbiamo dovuto affrontare e eliminare alcuni mafiosi, e il potere di vita e di morte era nelle nostre mani. Negli anni ’60, molti capi erano finiti in carcere, e la situazione era piuttosto complessa. La droga ha purtroppo cambiato radicalmente il panorama della criminalità. Ho iniziato a collaborare