“Se ti parlo per parabole è perché sono più dolci da ascoltarsi. Dell’orrore non si può ragionare perché è vivo, è senza parola che avanza”, spiega il maestro di O Megalexandros (Alessandro il Grande, 1980) al piccolo Alessandro. […] Parlare per parabole per giungere a spiegare il divenire dell’orrore umano è il metodo che definisce tutto il cinema di Theo Angelopoulos: un cinema che muove da una presa di coscienza di fronte alla crisi della realtà e che ha consolidato, attraverso una progressiva depurazione dello stile, una lucida e amara visione dei grandi fallimenti rivoluzionari del secolo e delle delusioni della Storia» [Cavasino T., Leivadiotis M., Minucci P.M. (a cura di), Faces – Theo Angelopoulos, Revolver, Bologna, 2004, p. 25].
Theodoros Anghelopoulos – traslitterato dal greco Θεόδωρος Αγγελό πουλος come Angelopolous, Angelopulos, Angelopoulos o Anghelopulos – è stato un regista e sceneggiatore greco, tra i più autorevoli cineasti europei del XX secolo.
Autore di un cinema lento, poetico e di denuncia verso la politica balcanica, ha segnato la storia cinematografica greca grazie all’utilizzo di tecniche cinematografiche e scelte stilistiche originali e di controtendenza.
Theo Anghelopoulos nasce ad Atene nel 1935, da una famiglia di commercianti. Tuttavia, nonostante la relativa agiatezza economica, la sua infanzia viene segnata da drammatici eventi politici e familiari, infatti muore sua sorella Voula, suo padre viene arrestato e le truppe italiane occupano la Grecia (1940), ed è l’inizio della Seconda Guerra mondiale e della guerra civile.
Nel 1953, Anghelopoulos si iscrive alla facoltà di legge della città di Atene e coltiva la passione per la poesia. Nel 1957, chiamato al servizio militare, è costretto a interrompere gli studi, che riprenderà, senza particolare entusiasmo, al termine della leva.
Nel 1962, dopo aver maturato l’idea di assecondare le sue inclinazioni poetiche e artistiche, a pochi esami dalla laurea, decide d’interrompere la sua carriera universitaria. Nello stesso anno, emigra a Parigi per studiare letteratura alla Sorbona, dove frequenta assiduamente i corsi di Lévi-Strauss. Decide, in seguito, d’i scriversi al corso di cinema dell’IDHEC, dal quale sarà successivamente espulso, entrando in contatto con gli intellettuali del tempo.
Nel periodo parigino Anghelopoulos aderisce al Marxismo, assorbendo gli ideali della sinistra radicale francese, e diventa un accanito frequentatore della Cinématèque sotto la supervisione di Henri Langlois, scoprendo di apprezzare lo stile realistico, i cosiddetti “tempi morti” ma, soprattutto, il piano sequenza, due essenziali caratteristiche del suo cinema d’autore. Il montaggio tipico del regista greco è, infatti, l’esatto contrario del cinema classico, e tende a mettere in mostra una grammatica stilistica ben visibile: stacchi e tagli sono netti, il montaggio è ‘democratico’ e le inquadrature, pur essendo fluide, trasmettono un’impressione rigida di visione e di distanza emotiva dai personaggi. Le regole dell’impercettibile e invisibile montaggio americano vengono così volontariamente eluse da Anghelopoulos, che vuole far sentire la sua presenza autoriale all’interno della storia e avvertire il pubblico della finzione della scena mostrata attraverso un’ostentata lentezza dei movimenti di macchina e l’immobilità della camera in poche ed esasperate inquadrature. La funzione del montaggio diventa, perciò, anche quella di rompere i legami con il tempo (che può diventare significativo o insignificante ai fini della storia stessa) o integrare passato e presente in una sorta di soggettivo e caotico flusso di coscienza che sintetizza realtà, finzione, ricordo e mito in un unico tempo di azione. La tragedia, il mito, la canzone, la favola, la parabola, la leggenda sono unite in un grande affresco onirico ed ‘epico’ che costringe lo spettatore a un lavoro di coinvolgimento autonomo.
Sotto la protezione di Jean Rouch sperimenta, invece, lo stile documentaristico e si avvicina al neorealismo italiano e alla nascente Nouvelle vague. Infatti, girando il suo primo mediometraggio, dal titolo Bianco e nero (1962), si ispirerà alla maniera di Godard e ai film noir e gialli della Hollywood degli anni Quaranta.
Nel 1964, torna ad Atene e trova un impiego come critico cinematografico nel quotidiano di sinistra Cambiamento Democratico e lavora al suo primo lungometraggio professionale dal titolo La storia dei Forminx (1965), una commedia musicale promozionale con spunti polizieschi che, tuttavia, salta per problemi con la produzione che decide di cancellare il film.
Nel 1970 Anghelopoulos realizza il suo primo film intitolato Ricostruzione di un delitto, una pellicola a bassissimo costo e finanziata dallo stesso regista. La scelta del soggetto risulta conforme alle tendenze del Nuovo Cinema Greco di rappresentare, tramite la forma documentaristica, le problematiche della società contemporanea, afflitta da arretratezza, emigrazione, emarginazione, povertà e spaccature ideologiche e di classe. La trama della pellicola è tratta da una notizia di cronaca: una donna e il suo amante uccidono il marito di lei e, benché il film non spicchi per originalità di trama, Anghelopoulos riesce comunque a farsi notare fuori dai confini nazionali per la poetica registica sofisticata e teatrale, e per il diffuso uso del piano-sequenza.
Dopo questa prima prova registica, Anghelopoulos si dedica per tutto il resto degli anni Settanta alla trilogia storico-politica, composta da: I giorni del ’36, La recita e I cacciatori, continuando a descrivere visivamente l’ambiente greco più povero e provato dalle vicissitudini della storia nazionale. I tre film attraversano, storicamente ed epicamente, tramite la reinterpretazione della mitologia degli Atridi e la personificazione di concetti astratti, la politica greca, dagli anni Trenta alla caduta della dittatura nel 1974. Questa trilogia politica evitò la censura eliminando le scene più critiche nei confronti del sistema politico greco contemporaneo e grazie all’inserimento di elementi metaforici, teatrali o di difficile e dubbia interpretazione. L’intento di Anghelopoulos, d’altronde, è quello dichiarato di smuovere le coscienze degli spettatori attraverso immagini che si ripetono ossessivamente e l’inserimento di tempi ‘morti’ reali, contenenti cioè delle scene che non aggiungono niente alla trama e mancano di quegli effetti dinamici di découpage tipici del cinema hollywoodiano.
Nel 1980 viene rilasciato il film Alessandro il Grande, prodotto dalla Rai, e sceneggiato con l’amico scrittore Petros Markarīs, da adesso in poi collaboratore fisso di Anghelopoulos, insieme a Tonino Guerra. La pellicola, a differenza dei film passati, è ambientata all’inizio del Novecento, e ha una trama romanzata, nella quale il fil rouge è la critica alle istituzioni, alla politica e ai potenti. Con Guerra, Anghelopoulos stabilirà un lungo e proficuo sodalizio, artistico e umano, che determinerà, a partire da Viaggio a Citera (1984) uno: «spostamento verso una tematica più esistenziale ed un accentuarsi della metaforicità del racconto che tende alla rarefazione ed alla contemplazione».
Nel 1984, con il sostegno di Markarīs e Guerra, Angelopoulos ripartirà con una nuova trilogia, detta del silenzio o del viaggio, poiché accomunata dal doloroso ritorno dei protagonisti verso un’immagine di ‘casa’ e ‘famiglia’, che però si dimostrerà falsa e deludente. Questa nuova poetica del silenzio è inaugurata da Viaggio a Citera (1984) nel quale Spyros, un anziano comunista, dopo trent’anni di esilio, ritorna nella sua casa a Mesonisi, un piccolo villaggio della Grecia settentrionale, al confine con la Macedonia. Nulla però è rimasto uguale ai vecchi tempi, e la famiglia e i paesani vorrebbero vendere le sue terre per arricchirsi. Il protagonista si oppone con forza a questa decisione, ma la sua protesta sarà del tutto vana, poiché il protagonista sarà subito punito con un nuovo esilio.
Nel 1986 gira il secondo film della trilogia, Il volo (1986), che diventa un nuovo decisivo tassello nell’abbandono della maniera distaccata e dello sguardo di tipo corale, caratteristico degli anni precedenti; infatti, Anghelopoulos, su consiglio del fidatissimo Guerra, cercherà di creare un legame più stretto e duraturo con gli attori dei suoi film. Effettivamente, da Il volo gli interpreti dei suoi personaggi ritorneranno sistematicamente a recitare nei successivi film, come a creare una compagnia cinematografica permanente, capace di riunire attori provenienti da carriere e metodi recitativi molto distanti: il greco Vangelis Kazan, gli italiani Gian Maria Volonté e Marcello Mastroianni, l’americano Harvey Keitel e lo svizzero Bruno Ganz.
Due anni dopo, nel 1988, esce il terzo e conclusivo film della trilogia del silenzio: Paesaggio nella nebbia, nel quale Anghelopoulos non si avvale della collaborazione degli artisti internazionali sopraccitati, ma di attori greci semisconosciuti, tra cui i bambini Tania Palaiologou e Michalis Zeke, che interpretano due bambini, fratelli, in cerca del padre emigrato in Germania.
L’argomento dell’emigrazione, del viaggio e della memoria, tornerà ancora nella terza trilogia, definita dei “confini” o della “nostalgia”, girata nell’arco degli anni Novanta, e composta da: Il passo sospeso della cicogna.
(1991), Lo sguardo di Ulisse (1995) e L’eternità e un giorno (1998). Queste tre pellicole renderanno Anghelopoulos estremamente noto anche al di fuori dei circuiti dei festival, grazie alla sua collaborazione con attori già affermati e conosciuti al grande pubblico. Gli elementi essenziali della poetica del regista rimangono gli stessi e formano un panorama di ‘inquadrature’ tematiche standard, che si ripetono, nonostante la diversità di trama, in tutte le pellicole: sullo sfondo, la denuncia della povertà e delle crisi politiche ed economiche della Grecia, in particolare delle zone settentrionali, di periferia e di confine; in campo medio, appaiono le sfumature culturali, le idee politiche e i riferimenti mitologici e metaforici; in primo piano, si presentano chiaramente i problemi esistenziali e la carica emotiva dei personaggi, sempre bloccati tra un passato doloroso e un futuro incerto, forse impossibile. [Geraci A. M., Mangiare una farfalla: cinema e poesia di Tonino Guerra, Il Ponte Vecchio, 2024, pp. 210-218]
Nel 2004, con La sorgente del fiume, Anghelopoulos realizza il primo film della seconda trilogia basata sulla storia della Grecia. Pur tornando di nuovo sulla disastrosa situazione storica dei Balcani nel Novecento, lo stile continua a mutare; ormai sempre più distante dallo straniamento brechtiano e vicino a un gusto romanzato, teatrale e a un’immagine ancora più surreale e tragica. Il titolo del fi lm è suggerito dalla poesia Il Marecchia è l’albero dell’acqua (1989) di Guerra, ancora sceneggiatore e consigliere di Anghelopoulos.
Nel 2008, Anghelopoulos gira la seconda pellicola della trilogia storica, l’ultima completata, intitolata La polvere del tempo, che procede con il racconto degli anni successivi alla Seconda Guerra Mondiale fino alla fi ne degli anni Novanta. La storia è caratterizzata dal continuo mescolarsi tra passato e presente e racconta le vicissitudini di un regista americano che gira a Roma un fi lm sulla storia dei suoi genitori, divisi dalle complicate vicende politiche.
Il susseguirsi delle complicate vicende economiche e delle lotte sociali interne alla Grecia del primo decennio del Duemila fu fonte d’ispirazione per l’ultima opera, rimasta incompiuta, del regista greco, intitolata L’altro mare che avrebbe dovuto trattare, con un ritorno allo stile di Brecht, dell’attuale clima di austerità e disordine politico. Le riprese del lungometraggio, tuttavia, vennero interrotte improvvisamente, il 24 gennaio 2012, a causa dell’improvvisa morte del regista settantaseienne, deceduto poche ore dopo essere stato investito da una moto pirata mentre attraversava una trafficata strada appena fuori dal set, nel porto del Pireo, ad Atene. A causa dell’inaspettata interruzione dell’opera, il produttore Amedeo Pagani avrebbe voluto affidare la direzione del fi lm al regista tedesco Wim Wenders; tuttavia, il progetto si risolse a un nulla di fatto, lasciando la pellicola, ancora a oggi, incompleta e non pubblicata.
Dal 1970 al 2012, di film in film, Anghelopoulos ha inventato una poetica che permette di esporre ciò che è diventato davvero impensabile rappresentare sul grande schermo: il movimento dei popoli, l’articolazione tra passato e presente, la storia che tormenta e torna come un fantasma a chiedere giustizia e rivoluzione per gli oppressi. La sua è una poetica sognante e lirica che è la forma sensibile di questo impensabile connubio. Una poetica del tempo, dunque, e del soggetto colto nel tempo, alle prese con la letteratura, la leggenda, il mito, la poesia e la pittura, in un mondo in perenne lotta. Il cinema di Angelopoulos incarna questa visione ideale, dandole un corpo filmico: l’uomo al limite tra una nazione e l’altra, in bilico tra un sogno e l’altro, tra la vita e la morte, e che cerca una sua identità, una sua dimensione esistenziale all’interno di un mondo temporaneo, fragile e vacuo.