Sembra che il fatto, riportato dagli antichi cronisti, riguardante il crimine di Erostrato, corrisponda ad un fatto storico, realmente accaduto nel 356 a.C. L’uomo, forse, era troppo ossessionato dalla bellezza del tempio di Efeso dedicato ad Artemide e ritenuto una delle sette meraviglie del mondo. In tempi moderni è stata considerata più importante l’analisi del movente psicologico del fatto storico stesso.
Il protagonista della vicenda, il cui scopo sembra fosse stato unicamente quello di passare alla storia, pare che fosse un pastore desideroso di guadagnarsi l’immortalità, uscendo dall’anonimato. Un movente, questo, molto attuale e forse è per questo che l’episodio ha interessato scrittori prevalentemente di epoca moderna. Uno di questi è stato il filosofo Jean Paul Sartre che intitola una storia della sua raccolta di racconti Il Muro col nome di Erostrato. Anche Anton Cechov, Dino Buzzati ed altri hanno menzionato il personaggio nei loro racconti. Forse perché quello di Erostrato è un malessere caratteristico più del mondo moderno che dell’antichità.
Con quel folle gesto, Erostrato, forse, decise di distruggere col fuoco ciò che sapeva essere troppo distante dalla sua persona. Da quella prima segnalazione inizia la lunga serie degli atti criminali apparentemente senza alcuna motivazione.
Millenni dopo, nel 1950, un fatto analogo accadde in Giappone. Era la notte di una calda estate, un 2 luglio, quando in un grande tempio si sviluppò un incendio che divorò il padiglione d’oro del meraviglioso santuario Kunkalkunji, uno dei più belli di Kyoto, l’antica capitale nipponica. Dopo delle indagini, il responsabile risultò essere stato un giovane monaco novizio che non stava troppo bene in salute, sia da un punto di vista fisico che mentale.
Prendendo spunto da questo fatto di cronaca, lo scrittore giapponese Yukio Mishima scrisse un romanzo psicologico che lo rivelò come grande scrittore. Mishima cerca, nel suo romanzo, di comprendere l’incomprensibile, immedesimandosi anche se in modo romanzato nel personaggio e inserendo risvolti filosofici in un’azione priva di ogni ragionevolezza. Mishima cerca di indagare la follia e i meandri mentali del piromane che, secondo il romanzo, sarebbe stato spinto da un’assurda aspirazione verso una bellezza ideale.
Lo scrittore immagina che la mente stravolta del piromane volesse preservare l’idea astratta del tempio e salvare l’idea pura, quasi iperuranica del padiglione d’oro, in modo che, distruggendo la parte destinata a perire perché soggetta ad essere corrotta dal tempo come tutto, ne salvaguardasse l’idea. Una folle volontà di salvare l’ideale eterno di bellezza. Mishima voleva conferire un’aura di nobiltà ad un gesto insano. Lo scrittore inserisce addirittura insegnamenti zen nel racconto perché teorizza che distruggere il tempio forse risultava essere stato l’unico modo per salvaguardarne la bellezza. Un animo nobile come Mishima cerca di nobilitare e sublimare tutto ciò che analizza.
Purtroppo io credo che la realtà sia molto più meschina e certi comportamenti sono causati, probabilmente, solo dall’odio verso ciò che siamo incapaci di apprezzare. Siamo certi che lo scrittore tedesco Ernst Jünger abbia avuto un’intuizione che maggiormente si avvicina alla realtà anche se tragica. Infatti scrive che “profondo è l’odio che l’animo volgare nutre contro la bellezza”.
Oggi, a causa di una società ideologicamente involgarita, sembra che nelle nuove generazioni crescano tanti nuovi, infiniti, Erostrati. Infatti la nostra è una società che non si limita a non comprendere più la bellezza, ma che ha perso anche ogni senso del rispetto, del tabù e del sacro. Sacer, separato, parola inconcepibile nel mondo che ha il culto della sola inclusione.
Quando lo scrittore Hermann Hesse affermò che “La bellezza non rende felice chi la possiede ma chi può amarla e adorarla”, voleva dire che solo coloro che posseggono la capacità della contemplazione possono avere quell’equilibrio interiore fisico e psichico che gli induisti denominano col termine prana. In italiano, del resto, chi non possiede questo equilibrio interiore viene descritto come squilibrato. Questo è lo svelamento delle parole pronunciate dal principe Miskin, dialogo che Dostoevskij inserisce ne L’idiota e che appaiono indecifrabili: “La bellezza salverà il mondo”.
Oggi purtroppo vediamo il mondo pieno di piccoli Erostrati che sono mossi da immotivata furia distruttiva, violenza anche urbana e priva totalmente di movente. Talvolta si rivolge contro le cose, talvolta contro i passanti, talvolta contro i boschi. Frequentemente contro i luoghi di culto, i monumenti o opere d’arte. È l’eterno odio contro la bellezza materiale o spirituale.
È l’istinto che detta a qualcuno di versare acido sul volto di una ragazza, perché odiosamente bello da ispirare rabbia. Di incendiare una cattedrale, o di bruciare il corpo di una ragazza dopo averla uccisa, perché ancora bella, come riporta anche Cesare Pavese ne La luna e i falò. Può essere il piacere di ardere una foresta, o imbrattare un quadro d’autore o di colpire col martello la Pietà di Michelangelo.
Oppure semplicemente un istinto che detta di colpire uno sconosciuto o uccidere una ragazza appariscente senza neppure tentare di farle violenza, come talvolta accade, per il semplice gusto di distruggere quel corpo.
Nessuno sembra accorgersi che un certo modello sociale porta ad un impazzimento generalizzato. Questo perché nessuno teme più un dio o anche la legge degli uomini oppure lo Stato che la incarna. Ma significa anche che non si ama più niente che incuta rispetto reverenziale, perché anche l’amore oltre la paura incute rispetto.
Questa è la ragione per cui, nel passato, ogni tempio, a qualsiasi religione appartenesse, ha sempre voluto ristabilire una imitazione o mimesis dell’equilibrio cosmico per ispirare armonia spirituale nel professante.