Il declino del positivismo: dalla fede nella scienza alla crisi della coscienza
Un viaggio tra l'ascesa del positivismo ottocentesco e le critiche filosofiche che hanno scosso le fondamenta della ragione scientifica.
Un viaggio tra l'ascesa del positivismo ottocentesco e le critiche filosofiche che hanno scosso le fondamenta della ragione scientifica.
Il moderno positivismo nasce in Francia nella prima metà dell’Ottocento, nel clima euforico del decollo industriale e dello sviluppo di ogni attività produttiva con l’affermarsi della borghesia. L’euforia era dovuta all’esaltazione, forse un po’ ingenua, derivata dalla fiducia cieca nella scienza, vista come nuova religione e fede per il nuovo millennio. Si credeva ad un progresso senza fine.
Il ragionamento dei positivisti è molto semplice. Si osserva la realtà unicamente secondo leggi che danno risposte regolari, una attualizzazione del vecchio scientismo. Tutto viene catalogato secondo discipline scientifiche. Il fondatore del positivismo è il filosofo Comte. Questo tipo di cultura risultava funzionale allo sviluppo della società industriale. Il nuovo movimento rifiutava ogni indagine metafisica e diffidava anche di quella filosofica, avendo la presunzione di poter spiegare tutto col metodo scientifico. Lo scopo era di rendere la società sempre più razionale. Si teorizzava che ogni società fosse passata da un periodo prevalentemente teologico, ad uno metafisico, per arrivare alla tappa finale, quella positiva.
Un passo importante del positivismo avvenne nel 1859, quando Charles Darwin pubblicò L’origine della specie ad opera della selezione naturale. È una teoria scientifica che travolgerà molte certezze religiose. Questa teoria evoluzionistica segue una logica ferrea perché parla di specie avvantaggiate nella lotta per la vita, anche a causa dell’ambiente. La borghesissima cultura del positivismo, idonea allo sviluppo industriale, fa breccia anche nei movimenti rivoluzionari di tipo socialista, marxista, e di ogni altro tipo di Sinistra.
Cosa attira certa Sinistra dell’epoca verso il positivismo e l’evoluzionismo è la sua valenza anti religiosa, laica, materialista. Inoltre, nella visione della legge naturale della lotta per la vita, molti socialisti intravidero una meccanica analoga alla lotta di classe teorizzata da Karl Marx. Georges Sorel addirittura arriva ad affermare che non esistono diritti dei lavoratori, ma solo conquiste, sottolineando il concetto di lotta.
Lo scrittore socialista statunitense Jack London lega la visione del suo socialismo alla lotta per la vita di tipo Nietzschiano. Descrive la sua visione socialista nel libro Il popolo dell’abisso e la sua visione, con influenze di Nietzsche e Rousseau, ne Il richiamo della foresta.
Come tutte le correnti di pensiero e le mode culturali, anche il positivismo entra in una fase di riflusso. Infatti, il troppo entusiasmo per il progresso e per la tecnica sembra uccidere l’individuo. Fra i principali filosofi che contestano il positivismo, occorre menzionare Henri Bergson e il suo spiritualismo. Bergson non contesta la logica del positivismo, ma contesta la sua presunzione. Infatti, sostiene che la filosofia non può essere ignorata, in quanto completerebbe il quadro dell’indagine dell’uomo, che è ben altro che i meccanismi positivi.
Il positivismo si era trasformato in un dogmatismo eccessivo con la pretesa di rinchiudere l’uomo in uno schema. Freud addirittura pretende di razionalizzare la componente irrazionale dell’uomo, il suo inconscio, la sua ombra, i suoi oscuri schemi mentali riconducibili ai miti e la sua stessa anima. Il profondo inenarrabile è analizzato anche da Dostoevskij in Ricordi dal sottosuolo. La reazione al tentativo di imbrigliare l’anima umana con argini, come si trattasse di un fiume in piena, crea molte altre reazioni e scuole di pensiero, una vera e propria valanga.
In questo sforzo culturale troviamo anche il filosofo Maurice Blondel e molti altri pensatori. Non meno importanti sono i simbolisti francesi ed anche la corrente del simbolismo pittorico, che si esprime rifiutando il naturalismo e ricorrendo al mito, al simbolo, al sogno. Abbiamo il decadentismo, che denuncia lo smaltimento della coscienza e che arriva fino al nostro Gabriele D’Annunzio. Giovanni Pascoli, da buon socialista, era positivista, per poi abbandonarlo trovandolo sterile e per abbracciare il decadentismo.
Anche la filosofia italiana, da Benedetto Croce a Giovanni Gentile, rifiuta il positivismo. Una denuncia che farà anche il pragmatismo dello statunitense William James. Il positivismo viene accusato di non riconoscere il primato della coscienza. Anche Nietzsche ironizzò sul positivismo e sulla sua presunzione. Infatti, nonostante Freud avesse tentato di razionalizzare l’ombra e l’inconscio, la dimensione dell’anima fu indagata, oltre che da Nietzsche, anche da Dostoevskij, ed era stata precedentemente indagata anche da Baudelaire, Schopenhauer e Kierkegaard.
Il pensiero di quest’ultimo, insieme a quello di Schopenhauer e di Nietzsche, verrà definito irrazionalista perché ambedue contestavano l’assolutizzazione del razionalismo con una generalizzazione eccessiva di categorie dello spirito. L’accusa è di superficialità.
Sarà negli anni cinquanta che il filosofo Gyorgy Lukacs, col suo testo La distruzione della ragione, farà una vera edotta lista di proscrizione su tutta la vastissima cultura che era stata critica nei confronti del positivismo. Un vero anatema, con la scomunica e una sentenza di condanna con l’accusa di irrazionalismo. In Italia, sulla scia dell’esempio delle edizioni Einaudi, tutta l’editoria dell’ufficialità rifiutò di pubblicare un autore importante come Nietzsche e tutto un filone culturale altrettanto importante per capire il secolo. Si dovette attendere la fuoriuscita di molti intellettuali dall’ammiraglia delle case editrici e la fondazione delle edizioni Adelphi per lo sdoganamento di una cultura che era stata emarginata.
Oggi la nuova cultura del politicamente corretto comincia a guardare storto molti uomini di cultura positivisti, anche se erano progressisti, se non addirittura socialisti. Pietre miliari come Darwin, Spencer, Lombroso e Russell Wallace. Questo perché, con la nuova moda, più politica che culturale, le parole “selezione”, “evoluzione”, e la stessa divisione degli uomini in settori specifici in base a fattori positivi, come la misurazione dei crani o delle tibie, fanno orrore e puzzano di razzismo.
Questo però, dopo aver fatto strame di ogni critica filosofica e culturale che tutta l’intellettualità dissidente ha fatto da più di un secolo, a cominciare dalla confraternita dei Preraffaelliti e dal loro socialismo estetico e misticheggiante. Ora, grazie anche a Lukacs ed ai suoi seguaci, si è fatta precedentemente tabula rasa, si è resettato ogni pensiero alternativo. Ora rimane il nulla.
Il positivismo, almeno, è un pensiero. Se lo contestiamo, quale filosofia abbracciamo domani?