L’Ing. Felice Vinci è uno studioso che è salito alla ribalta già qualche anno fa per un’opera che ha fatto e fa discutere il mondo accademico ‘’ I segreti di Omero nel Baltico’’. Secondo questa tesi, sempre più accreditata, i grandi poemi omerici hanno avuto luogo non nel Mare nostrum bensi nel Mar Baltico. Oltre a questa monumentale opera, Vinci ha scritto ‘’i misteri della civiltà megalitica’’ e ‘’il meteorite iperboreo’’. Rilascia un’ intervista esclusiva per ‘’Tota Pulchra’’.

Sig. Vinci oramai sono quasi 30 anni quando usci’ un suo libro che fece scalpore ” Omero nel Baltico”. In quest’opera lei ha proposto una lettura alternativa dei poemi di Omero indicando il Baltico, e non il Mediterraneo, come centro geografico dell’Iliade e dell’ Odissea. Ci vuole spiegare meglio?

Devo premettere che l’ultima edizione del mio libro, aggiornata e ampliata, è stata ribattezzata dal nuovo editore “I segreti di Omero nel Baltico”. Come gli antichi Greci ben sapevano, il mondo descritto da Omero nell’Iliade e nell’Odissea è affetto da innumerevoli incongruenze, geografiche e non: il Peloponneso pianeggiante (!), fiumi che invertono il loro corso, battaglie che proseguono durante la notte, un clima sistematicamente freddo e perturbato, eroi biondi intabarrati in pesanti mantelli di lana, le singolari modalità dei combattimenti con i carri da guerra, isole e popoli introvabili, e così via. Da qui è nato il vecchio adagio “Omero è un poeta, non un geografo”. Ma a questi problemi ne va aggiunto un altro, non meno grave: finora non si è mai riusciti a inquadrare in un’epoca precisa e definita i fatti raccontati dal poeta, che così sono rimasti a fluttuare in una vaga dimensione mitica, totalmente al di fuori della Storia. Ora, secondo la mia teoria, tutte le incongruenze del mondo omerico si risolvono immediatamente spostando lo scenario dell’Iliade e dell’Odissea dal mar Mediterraneo all’Europa settentrionale, dove nel II millennio a.C. fioriva una splendida civiltà del bronzo, che a sua volta mostra significative affinità con la civiltà micenea, apparsa in Grecia attorno al 1600 a.C.: infatti nelle prime tombe micenee si sono trovate molte spade di tipo nordico e ambra baltica, e la stessa tipologia dei resti umani è nordica. Dunque sia i due poemi, sia il resto della mitologia greca avrebbero tratto origine dalla tradizione orale di un popolo di migratori nordici, i biondi Achei, che una volta discesi nel Mediterraneo vi trasposero sia i nomi delle località che avevano lasciato nella loro patria perduta (come millenni dopo avrebbero fatto i migranti europei che si trasferirono nelle Americhe), sia miti, saghe e leggende risalenti al loro precedente passato baltico-scandinavo, fra cui la guerra di Troia e le altre vicende raccontate dalla mitologia greca. Successivamente, molti secoli dopo la discesa dal nord, quando in Grecia fu introdotta la scrittura alfabetica (attorno all’VIII secolo a.C.), le antiche saghe orali, che nel frattempo erano state trasmesse oralmente di generazione in generazione, furono risistemate e messe per iscritto, dando luogo ai poemi omerici come li conosciamo tuttora. Insomma il mondo di Omero è l’ultima memoria degli antichi fatti degli antenati nordici dei Greci nella loro patria originaria, prima della loro discesa in Grecia. Così si risolvono immediatamente non soltanto tutti i problemi geografici, ma anche quelli di inquadramento temporale dei due poemi.

L’Italia e la Grecia, nonostante una differente localizzazione, che peso hanno avuto a quei tempi? Sempre di primo ordine?

Nel secondo millennio a.C. l’Italia era in piena preistoria e, quanto alla Grecia, attorno al 1600 a.C. ebbe inizio la civiltà micenea (in cui si parlava un dialetto arcaico simile al dialetto ionico dei poemi omerici), la quale, secondo le mie ricerche, fu fondata da un gruppo di discendenti dei biondi Achei che avevano combattuto a Troia. Costoro scesero dall’area baltica nel Mediterraneo passando per il fiume Dnepr, sul basso corso del quale sono infatti presenti tombe a fossa simili a quelle micenee, e insediandosi in Grecia ribattezzarono quei nuovi luoghi con gli stessi nomi che avevano lasciato nella loro precedente patria nordica. A riprova di ciò stanno i nomi al plurale di città come Atene, Tebe e Micene: questi plurali sono incomprensibili, a meno di ammettere che esse, come Siracusa (che anticamente aveva il nome al plurale: “Syracusae”) fossero la memoria di precedenti città che si estendevano sia sulla terraferma che sulle isole adiacenti. Esse sono facilmente localizzabili nel mondo baltico, dove attraverso il cosiddetto “Catalogo delle navi” del II libro dell’Iliade si può ricostruire integralmente il mondo omerico (che dunque corrisponde all’età del bronzo nordica): l’Atene preistorica si estendeva sulla costa e le isole dove adesso sorge la moderna città svedese di Karlskrona, la Tebe omerica corrisponde all’attuale Täby, non lontana da Stoccolma (dove il nome della spiaggia di Tyresö ricorda quello del tebano Tiresia), mentre la Micene omerica si trovava sul sito dell’attuale Copenaghen (come attestano i resti preistorici sull’isola antistante). A conferma di ciò sta il passo del dialogo Crizia in cui Platone afferma che l’Atene preistorica dei suoi antenati stava in un territorio completamente diverso da quello dell’Atene dei suoi (e dei nostri) tempi. D’altronde non si può certo pretendere che le attuali New Orleans e New York rassomiglino alla francese Orléans e all’inglese York!

Si è occupato anche di civiltà megalitica. Che differenza c’è tra la civiltà Atlantidea e quella Iperborea?

Nel libro “I misteri della civiltà megalitica”, avvalendomi anche di lavori pubblicati sia da me che da altri su autorevoli riviste scientifiche, ho cercato di dare risposte precise e argomentate a molte questioni riconducibili alla misteriosa civiltà preistorica che tra il Neolitico e la prima Età del Bronzo disseminò monumenti megalitici su tutti i continenti. Ad esempio, qual è il nome segreto di Roma? Perché l’Urbe sta su sette colli, come Gerusalemme e la Mecca, e fu fondata il 21 aprile? Come è possibile che l’immagine dell’aquila che lotta col serpente si ritrovi identica nei miti di fondazione della fenicia Tiro e dell’azteca Tenochtitlan? Qual è la soluzione dell’indovinello biblico di Sansone? E perché il segreto della sua forza stava nei suoi capelli? Cosa è sotteso al mito della Fenice? Dove si trovano realmente le Colonne d’Ercole? Cosa si nasconde dietro il fantasma di Herne il Cacciatore nella foresta di Windsor e dietro i Mamuthones del Carnevale di Mamoiada? Come mai nelle leggende polinesiane si ritrovano i viaggi di Ulisse e la guerra di Troia? Da dove proveniva la civiltà dei Sumeri, che presenta stupefacenti corrispondenze sia nel mondo celtico che nell’America meridionale? Dove stavano i mitici Campi Elisi, il paradiso pagano dell’antichità, corrispondenti ai Campi di Giunchi egizi? Invero, incrociando le attuali acquisizioni scientifiche con quanto emerge da miti, leggende e folklore di tutto il mondo è possibile individuare la sede originaria di quella civiltà preistorica e deinearne i tratti salienti, quali la navigazione, le tecniche del fuoco e l’astronomia, con il culto delle Pleiadi e della Madre Terra. Non solo: è proprio di questa antica civiltà marittima che Platone ci ha lasciato l’ultima memoria allorché nei suoi dialoghi Timeo e Crizia ci racconta il mito di Atlantide. Quest’ultima era un’isola “iperborea”, cioè situata a un’altissima latitudine, la cui fioritura è riconducibile ad un’epoca preistorica, attestata dalla scienza, in cui il clima era molto più caldo di quello attuale, al punto da rendere navigabile il Mare Artico durante l’estate: ciò facilitò enormemente i contatti fra i popoli affacciati sull’oceano Atlantico e quelli sul Pacifico, favorendo quella che potremmo definire la prima civiltà “globalizzata” dell’umanità, molto precedente alla globalizzazione realizzata millenni dopo (ma comunque in un’epoca preindustriale) dagli spagnoli e poi dagli inglesi.

Che ne pensa dei tentativi del secolo scorso (golden down, teosofismo etc) nel provare una ”nuova” connessione con i culti ancestrali?

A mio avviso, questi tentativi potrebbero essere nati come reazione al soffocante clima di positivismo e materialismo generato dall’Illuminismo in seguito alla rivoluzione, prima scientifica e poi industriale, che caratterizzò i secoli dal Seicento all’Ottocento. Qui però mi permetto di aggiungere che la vecchia ortodossia, la quale fino all’Ottocento aveva dominato il campo degli studi della Fisica, a partire dall’inizio del XX secolo è stata rivoluzionata da nuove sorprendenti scoperte quali la teoria dei quanti di Planck, la relatività di Einstein, l’equivalenza tra energia e materia, il dualismo onda-particella, il principio di indeterminazione di Heisenberg, gli sviluppi della meccanica quantistica, per non parlare del singolarissimo fenomeno dell’entanglement, che implica in modo controintuitivo la presenza di correlazioni istantanee a distanza e pertanto dimostra il carattere non locale della realtà fisica. Ma tutto ciò sta aprendo la strada a una nuova visione della realtà, di gran lunga più variegata e intrigante di quanto non si potesse immaginare in precedenza, basata su complessi aspetti ondulatori, energetici, probabilistici, legati a campi di forze apparentemente immateriali, e che potrebbe essere finalmente in grado di dare una adeguata spiegazione scientifica ai fenomeni della Vita e della Mente, la cui immensa complessità (basti pensare alla fotosintesi clorofilliana) è assolutamente irriducibile ad una mera dimensione materiale! D’altronde la visione del mondo che sta emergendo dalle ultime scoperte della fisica contemporanea sembra sorprendentemente riecheggiare concezioni anche molto antiche. Ad esempio, tra gli scienziati che hanno approfondito queste tematiche vi è un fisico di origine austriaca, Fritjof Capra, professore di fisica teorica alla Cornell University e successivamente a Princeton (dove ha insegnato per più di 40 anni e dove attualmente è professore emerito): egli ha analizzato le sbalorditive corrispondenze tra antichi testi cinesi e indù e le recenti acquisizioni della scienza contemporanea, in cui un’importanza decisiva viene attribuita all’energia, alle onde e al concetto di vibrazione, che sostituisce il concetto tradizionale e statico di materia, del tutto superato dall’attuale fisica nucleare e subnucleare. Dunque, secondo questo scienziato, dalla fisica contemporanea emerge un modello di universo come manifestazione di un unico campo astratto di intelligenza universale, che darebbe origine ad ogni forma e le cui parti sarebbero intimamente connesse a formare un grande organismo unitario. Insomma, a partire dall’inizio del Novecento le ultime acquisizioni della scienza si sono sempre più allontanate dalla rigida cornice positivista e materialista entro cui essa si era sviluppata nei secoli precedenti, che presupponeva una invalicabile dicotomia fra Mente e Natura. In ogni caso, è un dato di fatto che tutta l’impalcatura materialistico-positivista basata sulla fisica settecentesca e ottocentesca si è andata progressivamente sgretolando a partire dall’inizio del Novecento, dissolvendosi proprio come il concetto stesso di “materia”; però, a dispetto di ciò, essa contro ogni logica ed evidenza continua a dettar legge nella visione del mondo dei nostri contemporanei, esprimendo con ciò l’irriducibile hybris prometeica dell’homo faber, tragicamente contrapposto al sapiens che pure è in noi. Come icasticamente detto da Robert Oppenheimer, che ha vissuto drammaticamente questa contraddizione, con la bomba atomica “la scienza ha conosciuto il peccato”.

Sta rilasciando un’intervista per un’associazione di ispirazione Cattolica. Cosa rappresenta, per lei, il Cristianesimo da un punto di vista storico?

Io sono un cristiano e un credente: pertanto a mio avviso la nascita di Gesù, il Figlio di Dio fatto Uomo, rappresenta un momento cruciale nella storia dell’umanità. Basti dire che se tutti seguissero i suoi precetti e il suo esempio, questo basso mondo, che spesso appare come un inferno – e purtroppo gli esempi non mancano (ahimé anche nel presente…) – potrebbe quasi diventare una sorta di paradiso in terra! Ma qui, riallacciandomi a quanto detto poco fa, tengo ancora a segnalare quello che per me è un vero e proprio “segno dei tempi”, anche se misconosciuto: nel 2014 un gruppo di scienziati, noti a livello internazionale, ha preso parte a un convegno, organizzato da alcuni studiosi della Columbia University e dell’Università dell’Arizona, al fine di discutere sull’emergere in ambito scientifico di un “paradigma post-materialista” (https://opensciences.org/files/pdfs/Manifesto-for-a-Post-Materialist-Science.pdf). Quanto a me, perfettamente consapevole di tutti i limiti della mia povera condizione umana, spero soltanto che le mie piccole ricerche nel campo della preistoria dell’umanità possano essere minimamente utili in quella ricerca del Vero che con il Bene ed il Bello – come affermava Platone, al cui pensiero Sant’Agostino spesso si è ispirato – indica la meta a cui noi tutti, in quanto esseri umani dotati di coscienza e intelletto, dovremmo sempre aspirare.

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