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Arte antica e spiritualità

Quinto capitolo del romanzo “Vite artistiche”.

I due amici continuavano il loro  viaggio culturale attraverso l’Arte Antica il Cinema Italiano e la spiritualità.

Camminando per via della Lungara erano arrivati a Palazzo Corsini dove ha sede la Galleria Corsini. La Collezione di opere d’arte è costituita da capolavori dell’arte del 400, 500 e 700. La famiglia Corsini e i cardinali (ricordiamo il Cardinale Lorenzo Corsini eletto Papa con il nome di Clemente XII nel 1730-40 e il Cardinale Neri Corsini) furono i creatori della Collezione.

Iniziamo a visitare la Galleria. Nella prima sala possiamo ammirare tele di grande formato che rappresentano scene della storia di santi canonizzati nel periodo del pontificato di Clemente XII e Benedetto XIV. L’”Estasi di Santa Caterina de Ricci di Agostino Masucci (Roma 1691-1768), la “Predica di San Vincenzo de Paolis” di Giacomo Zoboli (Modena 1682-Roma 1759), tela del 1737, la “Visione di S. Caterina Fieschi” di Marco Benefial (Roma 1684-1764) anche questa del 1737. Il pittore Benefial attraverso l’uso di colori più densi vuole portare lo spettatore a partecipare di più emotivamente all’evento.

“Visione di Santa Caterina Fieschi” di Marco Benefial

Nella sala spicca in tutta la sua maestosità il dipinto di Giovanni Paolo Panini (Piacenza 1691-Roma 1765) “Ruderi con terme”. Osservando attentamente la tela notiamo l’abilità del pittore nel saper rappresentare i riflessi verdi dell’acqua. Luigi Garzi (Pistoia 1638-Roma 1721) dipinse nel 1638 il “Ritrovamento di Mosè”. Un’opera caratterizzata da colori molto vivaci che si rifà un po’ anche alla pittura barocca del Baciccia. Dopo aver contemplato tanta magnificenza ci apprestiamo a visitare la seconda sala.

“Ritrovamento di Mosè” di Luigi Garzi

Vediamo elevarsi in tutto il suo splendore la “Madonna col Bambino Santi e scene della vita di Cristo” di Giovanni da Milano (Caversaccio-Como doc. 1346-1369). L’opera evidenzia nella sua struttura compositiva l’influsso della pittura di Giotto.

“Madonna con Bambino Santi e scene della vita di Cristo” di Giovanni Da Milano

La “Madonna con Bambino” di Andrea del Sarto (Firenze 1486-1530) ci colpisce per la sua semplicità e spiritualità. Nell’opera del 1508 il pittore ci riporta allo stile del suo mentore Piero di Cosimo.

“Madonna con bambino” di Andrea Del Sarto

Altra opera di eccezionale bellezza è la “Sacra Famiglia” di Fra Bartolomeo del 1516 ricordato dal Vasari.

“Sacra Famiglia” di Fra Bartolomeo

Fu acquistata dai Corsini dalla famiglia Doni. Come non rimanere emozionati nel contemplare l’armonia e la bellezza della “Madonna del latte” di Bartolomè Esteban  Murillo (Siviglia 1618-1682). L’opera del 1675 è considerata dai critici una delle più belle madonne dell’artista. È un dipinto che rappresenta un momento del rapporto madre figlio ripreso nella sua più alta umanità e amorevolezza. Le guance rosee del bambino ci rendono partecipi di questo delicato momento di tenerezza.

“Madonna del latte” di Murillo del 1675

La nostra visita nella Galleria prosegue nella contemplazione di vedute naturali e ruderi che ci riportano ai quadri del 700 di Giovanni Paolo Panini (ricordiamo la piccola tela esposta in sala “Ruderi”). Emerge dal passato una classicità di cui si è persa la memoria. Antonio Gaspardi (pittore della fine del 1700) dipinse il grande quadro “Il Portico di Ottavia” assieme a Dirck Helmbreker (Haarlem 1633-Roma1696). Tra le antiche rovine del portico possiamo vedere le scene della vita popolare di una volta. Anche una piccola opera pittorica può essere densa di bellezza e mistica spiritualità. Mi riferisco al meraviglioso dipinto di Filippo Lauri (Roma 1623-1694) l’”Estasi di San Francesco” del XVII secolo.

“Estasi di San Francesco” di Filippo Lauri

Attraversando le sale della Galleria ci avviciniamo alla stanza VI (un tempo sala delle udienze). Tra le opere più importanti di questo ambiente della Galleria vi è il magnifico dipinto di Jusepe Ribera (Jativa 1591-Napoli 1652) “Venere e Adone” del 1637. Il quadro rappresenta la scena in cui Venere ritrova il corpo dell’amante Adone morto durante una caccia al cinghiale. Osservando attentamente il dipinto notiamo una ferita che spicca sulla costola di Adone (che non ritroviamo nella storia del mito). Questo particolare ci fa capire che nel 500 e 600 questa tematica prefigurava la morte e la risurrezione di Cristo. È un’opera ricca di una forte spiritualità che ci pervade attraverso la sua intensa luminosità. Nella pittura di Ribera ritroviamo l’influsso della pittura di artisti come Poussin, Sacchi, Cortona, Mola, Rubens, van Dyck, Tiziano, Veronese.

“Venere e Adone” di Jusepe Ribera del 1637

Lasciamo la Galleria Corsini per visitare la Galleria Spada. Una Collezione ricca di importanti opere d’arte antica. I principali creatori della Galleria furono i Cardinali Spada: Bernardino Spada (1594-1661), Fabrizio Spada (1643-1717), Orazio Spada (1613-1687). Attraversando il giardino dei melangoli possiamo ammirare la splendida prospettiva del Borromini. Il nostro sguardo si perde nella contemplazione di questo grande capolavoro.

Prospettiva del Borromini

Tra i più bei dipinti della Galleria cito il “Ritratto del Cardinale Bernardino Spada” di Guido Reni del 1631. Questo Cardinale era un grande mecenate delle arti e delle scienze. Il quadro rappresenta il Cardinale mentre sta scrivendo una lettera al Papa. È un dipinto nel quale emerge la capacità virtuosistica del pittore che attraverso una grande ricchezza di particolari e un uso sapiente dei colori riesce a evidenziare la nobiltà intellettuale di Bernardino Spada.

“Ritratto del Cardinale Bernardino Spada” del 1631 di Guido Reni

La “Madonna che allatta il Bambino” di Artemisia Gentileschi (Roma 1593 Napoli 1652) è un’opera caratterizzata da una grande luminosità dei colori e da una dolce armonia delle forme.

“Madonna che allatta il Bambino” di Artemisia Gentileschi

Enzo continuava il suo itinerario parlando di Cinema Italiano. La forza delle sue parole come la  panoramica di una  macchina da presa si soffermava sul primo piano del viso di un bambino denso di semplicità e di spiritualità: “È il volto di Pablito Calvo del film Marcellino pane e vino di Ladislao Vajda” (1955).

“Marcellino pane e vino” di Ladislao Vajda (1955)

Una pellicola che rappresenta il mondo dei frati  nella sua semplicità e ricchezza di amore e fede. Marcellino vive in questo ambiente pregando e dialogando con Gesù. Un film che porta lo spettatore ad abbracciare il cuore di Gesù e della Madonna. Una pellicola dove l’innocenza e la bontà di un bambino ci portano verso la fede. Il Cinema Italiano dovrebbe ricominciare a vivere e a sperare seguendo la scia di questo film. Ritornare a creare immagini ricche di concretezza, spiritualità e semplicità. L’immagine deve ritornare ad essere creazione di valori e socialità. Un’immagine collante sociale. Cinema e arte non devono seguire la strada dell’artificazione ma sviluppare nuovi percorsi interattivi e interdisciplinari per ridisegnare nuovi tipi di organizzazione sociale. Pensiamo per esempio a rassegne cinematografiche pluritematiche che coinvolgano non soltanto registi ma anche artisti, architetti, ingegneri. Un libero scambio di competenze e di risorse umane. Le discipline umanistiche devono ritornare ad essere collegate a quelle scientifiche. Pensiamo anche a forme di smart working che portino innovazione nel settore dei Beni Culturali. Una divulgazione culturale a 360 gradi che porti artisti noti e soprattutto meno noti verso una maggiore visibilità. Il curatore d’arte deve continuare a essere una figura solida punto di riferimento fondamentale degli artisti.

“La grande guerra” di Mario Monnicelli

Negli anni 1959-60 Il Cinema Italiano ricominciò a crescere con film come “La grande guerra” di Mario Monnicelli. Il regista portò la Commedia all’Italiana verso il decisivo successo. Oltre ai film del già citato Michelangelo Antonioni, ricordiamo anche “La dolce vita” di Federico Fellini e “Rocco e i suoi fratelli” di Luchino Visconti”. Il film di Fellini non ha un’unità narrativa. Anche il personaggio protagonista della pellicola Marcello Mastroianni non riesce a trovare un ordine esistenziale. La società italiana del periodo del boom economico si perde dietro le sirene di un falso benessere. Federico Fellini come anche Dino Risi (ricordiamo il film “Il sorpasso” del 1962) ci rappresentano un paese travolto dal benessere che vuole dimenticare le atrocità della guerra. Ci ritroviamo davanti all’uomo moderno che interiorizza la conflittualità tra realtà interiore e realtà esteriore. Luchino Visconti in “Rocco e i suoi fratelli” affronta la tematica dell’immigrazione delle famiglie che partivano dal sud Italia verso le ricche città del nord. La famiglia Parondi è costituita da Rocco (Alain Delon) la madre e gli altri quattro fratelli. Tutti i componenti familiari cercheranno di integrarsi nella fredda città milanese ma con enormi difficoltà. Un’integrazione culturale ostacolata da un ambiente ostile corrotto ed egoista che minaccia in continuazione l’unità della famiglia. Alla fine il contesto familiare arriverà alla completa disintegrazione. La pellicola sceneggiata da Visconti, Vasco Pratolini, Pasquale Festa Campanile, Suso Cecchi d’Amico, Massimo Franciosa, Enrico Medioli trae ispirazione dalle storie narrate in “Il ponte della Ghisolfa” di Giovanni Testori. Vi sono anche riferimenti ai modelli narrativi di Thomas Mann e di Fedor Dostoevskij. Il regista descrive con grande maestria la frammentazione del sistema familiare raccontato attraverso il dolore degli emigranti.

“Reality” di Matteo Garrone

La disumanità e la mancanza di valori tipiche della società dei consumi vengono molto evidenziate nelle pellicole di Pier Paolo Pasolini che ho citato nei miei precedenti articoli. Il film concepito dal regista è antinaturalistico e coglie la poesia che è nelle cose e nei gesti umani. Ritornando al cinema dei giorni nostri vi sono dei registi che continuano a portare avanti il discorso di un cinema libero etico e spirituale. Tra questi ricordiamo Matteo Garrone che nel 2012 ha realizzato il film “Reality”. Il protagonista del film è un detenuto del carcere di Volterra che interpreta la parte di un pescivendolo molto simpatico e socievole di nome Luciano. I suoi figli lo convincono a partecipare ai provini per il reality show del “Grande Fratello”. L’entusiasmo per il superamento delle prime preselezioni lo porta dentro a un vortice di dipendenza assoluta dal programma televisivo. Luciano rimane giorno e notte attaccato alla televisione per seguire ogni parola e ogni mossa dei personaggi del reality. Il regista evidenzia la forma patologica di dipendenza dal medium televisivo. Una forma oggi molto diffusa nella società odierna. L’uso errato degli smartphone e dei social network portano a gravi forme di dipendenza che genera comportamenti ossessivi e compulsivi. Nel film di Paolo Genovese “Perfetti sconosciuti” (2016), ritroviamo questa tematica. I personaggi della pellicola sono tutti immersi in un caos virtuale nel quale trionfano solamente le falsità e gli inganni. Anche nel capolavoro di Dino Risi del 1963 “I Mostri” nell’episodio intitolato “L’oppio dei popoli” il protagonista Ugo Tognazzi è stregato dalla televisione. I suoi occhi sono spalancati e persi nel vuoto alla continua ricerca di immagini televisive da consumare. Il cinema è anche una spregiudicata macchina per fare soldi che segue soltanto gli interessi e non i sentimenti. Questo è rappresentato in film come “Bellissima”(1951) di Luchino Visconti, “La signora senza camelie” (1953) di Michelangelo Antonioni, “Io la conoscevo bene” (1965) di Antonio Pietrangeli, “L’uomo delle stelle” (1995) di Giuseppe Tornatore. Produttori e uomini senza scrupoli che sfruttano donne e persone che vorrebbero tanto fare carriera nel mondo del cinema. Quello che vediamo oggi (soprattutto nelle pellicole commerciali) è un allontanamento del cinema dalla vita. Il cinema si deve riavvicinare alla vita. Il film deve ricreare la realtà per arricchirla di spiritualità e cooperazione sociale.

Attraversando la caotica Piazza Re di Roma i due amici arrivarono in via Trebula 5 dove ha sede la Galleria Sonora fondata dall’artista musicista Pejman Tadayon. Enzo e Teofilo suonavano le opere di questo artista lasciandosi trasportare dalla spiritualità della musica. L’arte si fondeva con sonorità orientali immergendoli nelle misteriose atmosfere delle melodie Sufi. Suoni e colori prendevano vita portandoli nelle antiche terre persiane. Pitture musicali che li portavano a  rivivere in luoghi fiabeschi ai confini dell’immaginazione. Arte e musica creano una magia sospesa tra genio pazzia melanconia e spiritualità.

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