La teoria economica classica si basa sull’ipotesi che mercati ed individui siano perfettamente razionali. Tale tesi però contradice la realtà delle cose in quanto sappiamo che l’essere umano non è solo razionalità, ma anche istinto ed emotività, motivo per cui spesso effettua scelte non logiche. Questo è il presupposto da cui ha preso origine la finanza comportamentale, ossia la branca degli studi economici che integra nei propri modelli i principi di psicologia legati al comportamento individuale e sociale.
L’idea in realtà è piuttosto antica. Adam Smith scrisse Teoria dei sentimenti morali, un testo che descrive come il meccanismo dei comportamenti psicologici individuali influisce sulle scelte economiche. Con l’avvento dell’economia neoclassica si è invece sviluppato il concetto di homo economicus come essere sempre razionale ed improntato all’efficienza.
Sparita per oltre mezzo secolo da ogni discussione economica l’economia comportamentale ritorna nei modelli economici nel 1979 quando Kahneman e Tversky pubblicarono il loro lavoro “ Decision Making Under Risk” che usava tecniche di psicologia cognitiva per spiegare una serie di anomalie documentate nel processo decisionale economico razionale.
Alcune anomalie di mercato come lo sviluppo delle bolle speculative che osservano il divergere del valore di un bene o di un titolo rispetto alle sue variabili fondamentali economiche, non possono essere semplicemente spiegate con asimmetrie di tipo informativo o con il fallimento della teoria dei mercati efficienti, ma entrano in gioco meccanismi di tipo squisitamente psicologico, che possono trasformare piccole correzioni del mercato in cadute consistenti dei prezzi, semplicemente perché alimentate da stati di panico dell’investitore.
La teoria sull’economia comportamentale parte dal presupposto che l’essere umano commette degli errori di valutazione sistematici che incidono sulla razionalità e quindi sulla convenienza delle proprie decisioni economiche.
Tali errori sono definiti “bias” che sono sostanzialmente delle scorciatoie mentali che derivano da alcune emozioni come la paura o il desiderio.
Sintetizziamo i Bias più importanti e probabilmente in ognuno di loro possiamo rivedere dei nostri stessi comportamenti
Bias di conferma
Tendiamo inevitabilmente a forzare la realtà al servizio delle nostre convinzioni, sopravalutando tutte le informazioni che confermano le nostre profonde convinzioni e sottovalutando o addirittura ignorando ogni informazione contraria.
Questo errore è stato amplificato dall’uso dei social media che tramite gli algoritmi ci chiude in stanze dove incontriamo solo nostri “simili” rafforzando ed a volte radicalizzando le nostre convinzioni
Bias di disponibilità
Tendiamo ad utilizzare scorciatoie mentali che si basano sulle informazioni che sono maggiormente disponibili e consolidate. Alla domanda se sia più pericoloso uno squalo o una zanzara, la maggior parte di noi risponderebbe lo squalo. Nulla di più sbagliato. Nel 2021 sono stati documentati 79 attacchi di squali all’essere umano di cui solo 9 mortali. Nello stesso anno la zanzara ha provocato oltre 750 mila decessi
Bias di avversione alla perdita
L’avversione alla perdita è quella propensione ad aver paura di perdere rispetto all’idea di guadagnare.
Le perdite sono maggiori dei guadagni. Una perdita è psicologicamente stimata essere il doppio del valore di un guadagno. Cioè, per scommettere un importo, il premio deve essere il doppio della scommessa. Ecco perché per fare una scommessa di uguale grandezza dobbiamo avere qualche componente psicologica per cui crediamo di più nel profitto.
Facciamo un esempio:
Immagina di poter scegliere tra due giochi. Entrambi consistono nel lanciare una moneta in aria:
Nella prima partita se esce testa vinciamo 100€, mentre se esce croce non vinciamo nulla. (Utile netto = € 50)
Nella seconda partita, che esca croce o testa, vinciamo 50€. (Utile netto = € 50)
I due giochi sono statisticamente equivalenti ma la quasi totalità delle persone (compreso chi scrive) sceglierebbe indubitabilmente la seconda opzione
Bias di ancoraggio
Il nostro cervello si lega alla prima informazione che riceve, sia essa un prezzo o un valore: un meccanismo che influenza le nostre scelte, portandoci spesso a conclusioni errate poiché non oggettive.
Facciamo un esempio ad un gruppo omogeneo di persone viene chiesto
Quanti sono gli stati nel continente africano?
Al primo gruppo viene formulata la domanda se gli stati sono più o meno di 10, mentre al secondo gruppo viene posta la domanda chiedendo se gli stati sono più o meno di 70.
Potete giurarci che il secondo gruppo tenderà a dare delle valutazioni del numero degli stati superiore al primo.
Bias dello Status quo
il pregiudizio dello status quo è la tendenza marcata a preferire lo status quo nell’effettuare le proprie decisioni.
Tra gli esempi più citati di dimostrazione di questo Bias è il caso di un regolamento di assicurazione RCA applicato negli stati del New Jersey e della Pennsylvania
In entrambi gli stati viene offerta una scelta ai cittadini una polizza più economica che limitava il diritto di citare in giudizio e una più costosa che non fissava limiti ai sinistri. Ai conducenti del New Jersey venne offerta per default la polizza più economica, sebbene potessero sceglierne una più costosa, mentre ai conducenti della Pennsylvania venne offerta sempre per default l’opzione più costosa, sebbene potessero anche scegliere l’altra alternativa.
Nel 1990, un gruppo di ricercatori dell’Università della Pennsylvania analizzò l’effetto psicologico di questa linea di base e scoprì che solo il 23% dei conducenti del New Jersey scelse la polizza più costosa che includeva il diritto di citare in giudizio. Tuttavia, il numero salì al 53% tra i conducenti della Pennsylvania.
Qual è la morale della finanza comportamentale?
L’essere umano e noi stessi siamo facilmente manipolabili e possiamo commettere errori di valutazioni evidenti. Quando neghiamo il cambiamento e rimaniamo ancorati a ciò che ci è familiare, corriamo il rischio di aggrapparci a modelli di comportamento che possono diventare rapidamente anacronistici e disadattivi. Ecco perché abbiamo bisogno di rivalutare costantemente le nostre decisioni e convinzioni, chiedendoci se sono ancora valide nelle circostanze attuali. Dobbiamo trovare un equilibrio tra la sicurezza dello status quo e le possibilità di cambiamento. Dobbiamo imparare a usare il passato come un trampolino di lancio e non come un divano, come disse Harold MacMillan
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