Il lavoro manuale potrebbe ritornare di moda, paradossalmente proprio grazie all’intelligenza artificiale. Questo fenomeno sembrerebbe in contraddizione con l’antica idea che nel mondo del lavoro post-industriale agli esseri umani sia destinato il solo lavoro di ragionamento intellettuale, mentre il lavoro manuale sia affidato alle macchine, che li eseguono con una straordinaria precisione inarrivabile dagli esseri umani. Questa tesi è figlia dello scorso secolo che ci ha culturalmente inculcato l’idea che esisteva una chiara distinzione tra lavoro manuale e lavoro intellettuale, dove Il primo è superiore al secondo in termini di prestigio, potere e remunerazione. Il lavoro manuale era associato al concetto di rompersi la schiena, ripetendo in modo alienante la stessa attività, come mostra magistralmente Charlie Chaplin nel film i tempi moderni.

Il lavoro manuale si riscattava in questa tesi ideologica solo quando era chiara la vocazione artistica dell’attività, quando l’artigiano, come spesso accade, diventava anche un po’ artista.

Questa percezione è ancora radicata nelle generazioni senior che si stupiscono ancora quando scoprono che il figlio del professionista sceglie un lavoro manuale come il decoratore, il restauratore o addirittura il contadino.

In questa mentalità, i lavori manuali sono necessariamente di serie B, precari e mal pagati, ed ancora oggi si pensa che i ragazzi di buona famiglia si debbano iscrivere al liceo mentre gli istituti professionali siano destinati ai ragazzi di borgata con scarsa voglia di studiare.

In realtà mentre è ormai abbastanza chiaro, che l’intelligenza artificiale generativa, di cui abbiamo parlato in un precedente articolo della nostra rubrica, sostituirà una larga parte del lavoro intellettuale in maniera egregia ed efficiente, il lavoro manuale sarà più difficile da sostituire.

Il paradosso di Moravec, che scriveva già negli anni Ottanta dello scorso secolo, quindi molto prima dell’avvento dell’intelligenza artificiale generativa, che è relativamente facile, fare in modo che i computer mostrino prestazioni di livello adulto nei test di intelligenza o nel giocare a dama, è invece difficile se non impossibile dare loro le competenze di un bambino quando si tratta di percezione e mobilità.

Lo scienziato cognitivo Steven Pinker esprime il concetto in maniera ancora più chiara. La lezione principale di trentacinque anni di ricerca sull’Intelligenza artificiale è che i problemi difficili sono facili e i problemi facili sono difficili. Le capacità mentali di un bambino di quattro anni, che diamo per scontate come riconoscere un volto, sollevare una matita o attraversare una stanza richiedono alte capacità computazionali. Con la comparsa della nuova generazione di dispositivi intelligenti, saranno gli analisti di borsa, gli ingegneri petrolchimici a rischiare di essere sostituiti da macchine. I giardinieri, i receptionist e i cuochi (che oggi a testimonianza dell’aumentato valore sociale della loro professione chiamiamo Chef) hanno un lavoro sicuro ancora per decenni.

Quindi nel modo ipertecnologico odierno la distinzione tradizionale tra lavoro intellettuale e lavoro manuale non regge più. Molti lavori percepiti come “intellettuali” sono spesso precari, malpagati ed in buona parte sostituibili dall’ intelligenza artificiale. Come sanno molti giovani professionisti, soprattutto nel periodo del praticantato necessario per iscriversi negli albi professionali, nonostante i molti titoli universitari e post-universitari, nella quotidianità i giovani professionisti sono costretti a mansioni routinarie e compilative, al trionfo del “copia-incolla”. L’intelligenza artificiale generativa può ormai tenere la contabilità di una società, redigere un report giornalistico, costruire un parere legale ecc. Nessuna intelligenza artificiale è in grado di impadronirsi di capacità umane primordiali, come le competenze motorie e di percezione, come la capacità di riconoscere e gestire eccezioni, emergenze ed emozioni.

Esistono ovviamente ampie differenze tra i lavori manuali, potare una siepe non ingaggia la creatività ed è un’attività facilmente trasferibile ad un robot, mentre creare una composizione floreale, ingaggia la creatività, la capacità di manipolazione e la sensibilità del tocco. Una manualità sofisticata piena di intuito, come chi restaura un’opera d’arte o chi grazie alle proprie mani estrae dalla stoffa abiti sartoriali. Il discrimine sta nel tasso di sostituibilità. Se posso essere sostituito facilmente da un robot o da una persona senza competenze, allora non ho una buona professionalità manuale. La differenza sta nell’incredibile potenza della coordinazione mano-cervello e non vale solo per i lavori artistici. Anche un buon falegname, un buon idraulico e un buon meccanico sono difficilmente sostituibili da un robot o da un altro essere umano senza l’adeguato Know – How. Inoltre, come sanno bene gli imprenditori delle piccole aziende artigiane, il lavoro manuale svolto a livello di impresa, ingaggia necessariamente delle capacità relazionali. Le nostre soft skills come comunicazione, capacità di ascolto e di problem solving sono necessarie per una gestione efficiente di collaboratori, clienti e fornitori.

Infine, da sempre il lavoro manuale, ha il pregio della concretezza, un artigiano, un contadino o un falegname vede e tocca il frutto del proprio lavoro e ne percepisce immediatamente l’utilità per il cliente finale.

In definitiva questa rivalutazione del lavoro manuale ci interroga come genitori e come sistema educativo. Se notiamo che i nostri figli hanno spiccate attitudini manuali o artistiche, non ostacoliamo questo loro talento. Un buon talento manuale o artistico sarà probabilmente più utile per una loro realizzazione umana e professionale, rispetto ad una laurea brillante, presa solo per fa contento papà e mamma.

 

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