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La Commedia secondo Aristotele e Platone: tra Filosofia, Comicità e Pubblico

La Commedia secondo Aristotele e Platone: tra Filosofia, Comicità e Pubblico

Dall’antica Grecia a Umberto Eco: come la comicità è costruita, percepita e condivisa attraverso i secoli.

Sia Aristotele che Platone, parlano degli elementi della commedia. Infatti Aristotele scrive anche un saggio sulla commedia come anche a proposito di altri generi teatrali.

Forse è proprio da questi scritti che Umberto Eco ha tratto ispirazione per il suo romanzo di successo “Il nome della rosa” in cui si immagina che un vecchio bibliotecario di un monastero medievale, affetto da paranoia, perché ossessionato dalla comicità di cui aveva trattato Aristotele, provoca un incendio nel tentativo di distruggere il manoscritto del filosofo Greco sulla commedia e la comicità in essa contenuta.

Aristotele nella realtà afferma, nel suo saggio, che le componenti di base su cui viene costruita la trama di una commedia sono i personaggi che devono essere “di più scarso valore della gente comune appartenenti a quella parte del brutto che è ridicolo”, questo anche se non devono essere percepiti come malvagi.

Scarso valore, brutto, nel senso di goffo, e, di conseguenza, ridicolo sarebbero i pilastri che reggono la commedia. Platone ed Aristotele non sono gli unici ad essersi occupati della comicità, molti altri lo hanno fatto in seguito tra cui Bergson e Pirandello, ma questi furono i primi.

Per rappresentare una commedia non bastano gli autori che danno vita ai personaggi o gli attori che la portano in scena, ma occorre soprattutto un pubblico che la comprenda e la apprezzi.

Ne risulta che la commedia, per essere apprezzata, necessita di un pubblico che abbia dei solidi valori di base condivisi. Deve possedere inoltre, questo immaginario pubblico, una determinata levatura culturale che lo porti a sorridere di certe ingenuità dei personaggi che la commedia mette in evidenza.

Oppure che, anche se di scarsa cultura, lo spettatore, deve aver assorbito e fatto proprie, determinate convenzioni da generazioni da ritenersi non solo acquistare ma anche indiscutibili.

Di conseguenza, occorre che il pubblico condivida un certo buon senso comune che può essere anche scambiato per conformismo. Questo perché agisce in una società in cui i principi e la logica non siano opinabili e in cui il cosiddetto libero pensiero abbia dei limiti oltre il quale inizia l’assurdo che è la base della comicità.

Immaginiamo che in una utopistica società multiculturale e multi valoriale, totalmente individualistica, che rifiuti i valori condivisi di ogni comunità e negli la morale corrente, in quanto sarebbe una elaborazione storica di un certo pensiero, ebbene, in tal caso, non sarebbe possibile rappresentare una commedia che trasmetta con poche battute e sottintesi, l’ilarità causata da ragionamenti che escono dal buon senso comune o da una logica di un pensiero che non è altro che una elaborazione cultura storica accettata dalla classe egemone.

Sarebbe impossibile fare una grottesca caricatura di personaggi che escono dalla logica corrente. Accade che quando la maggior parte dei componenti di una società somigliano troppo ai personaggi presi di mira dalla commedia, questi sarebbero impossibilitati ad essere gli spettatori, di cui tratta Aristotele.

Questo a meno che questo tipo di spettatore non si identifichi con i personaggi caricaturali che, ad esempio, Sordi faceva di certi suoi personaggi che a suo vedere non rappresentavano l’italiano medio ma il peggiore come ebbe a dire in una intervista.

Forse può essere utile anche ridere di sé stessi e dei propri difetti se ciò servisse a correggere i comportamenti grotteschi messi in evidenza e non ad indulgere.

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