Dopo la guerra del Vietnam iniziò la cosiddetta diplomazia del ping pong per il riavvicinamento tra Stati Uniti e Cina. Gli artefici furono Nixon e il consigliere per la sicurezza nazionale Henry Kissinger per gli Stati Uniti e Deng Xiaoping per la Cina.
La strategia di Kissinger mirava ad isolare l’Unione Sovietica, in quel periodo molto forte e rafforzata ulteriormente dopo la vittoria del Vietnam. Deng invece mirava all’apertura dei mercati internazionali. La strategia degli USA era quella di dividere i due blocchi comunisti con concessioni commerciali alla Cina. Questa politica dette i suoi frutti anni dopo, quando, isolata l’Unione Sovietica, con un’abile strategia si arrivò al crollo dell’impero sovietico.
La Cina, nel frattempo, era molto cresciuta economicamente e tecnologicamente. Non rappresenta un pericolo militare, ma è pur sempre un importante concorrente essendo divenuta la fabbrica del mondo.
Putin, a capo di una Russia ridimensionata, era desideroso di avvicinarsi all’Unione Europea, aprendo le porte ai prodotti europei e rifornendo l’industria del continente con grandi quantità di gas a prezzi irrisori. Una Russia non più comunista sembrava complementare agli interessi europei.
Però, le amministrazioni democratiche statunitensi avevano altri piani per l’Europa. Proseguirono ottusamente la strategia di Kissinger, ormai anacronistica perché non esistevano più né il Patto di Varsavia, né l’Unione Sovietica e tantomeno il comunismo come sfida ideologica. I democratici fecero un altro grande errore. Provocarono la Cina con varie azioni di disturbo. Il risultato è stato quello di spingere Mosca tra le braccia della Cina e, con la struttura del BRICS allargata a dismisura, la minaccia economica e non militare era palese. Obama, Biden, con la vecchia compagine dem con i Clinton, sembravano smarriti.
Trump ha una diversa strategia geopolitica. Inverte semplicemente quella di Kissinger, che avrebbe fatto il suo tempo e aveva ormai dato i suoi frutti. Una strategia simile, ma contraria. Trump non vede la necessità di continuare a contrastare la Russia, avendo gli USA avuto partita vinta nel 1991. Oggi lo scontro non è più militare ma economico, e non deve essere più con la Russia per una lite di condominio, ma la guerra è sulla produttività con la Cina di Xi Jinping e si combatte non con gli scarponi al suolo, ma al limite coi dazi.
A Trump, strategicamente, l’Europa interessa di meno. La Russia non la vuole come nemica giurata. Il suo sguardo è volto al Pacifico, all’Asia e al confronto commerciale con Pechino. Può essere interessato alle rotte commerciali artiche. Le allusioni alla Groenlandia e al Canada servivano unicamente ad indicare la direttrice. Oppure gli stretti, infatti ha parlato di Panama e del Golfo del Messico. Sono solo polveroni per indicare la nuova strategia della sua amministrazione.
Sarà uno scontro di prezzi, di dazi, di energia e di vie di comunicazione. Questo mentre in Europa si parla unicamente di armamenti e di sanzioni. Intanto la UE si è inimicata la Russia, e si sta per inimicare anche gli Stati Uniti. Inoltre, con la NATO, ha devastato il Medio Oriente sotto casa del vecchio continente.
Intanto, Mosca sta parlando con gli ex dirigenti di Al Qaeda, suoi acerrimi nemici, ma sa che con una Siria devastata non possono permettersi il lusso di rifiutare il minimo aiuto. Gli Europei delirano e vanno dietro ai francesi, i quali ragionano ancora con la mentalità della crisi di Suez, fallimentare anche nel 1956.
Crediamo che le mosse future del “pazzo” nemico delle libertà Trump siano queste.