Il professore M. Cascio rappresente, ad oggi, uno di quei pochi filosofi innamorati della ricerca della verità. Serio studioso della filosofia hegeliana, nei suoi scritti è riuscito a coniugare un pensiero estremamente articolato, ma fruibile, con una fede scevra da misticismo e direi ‘’operativa’’. Rilascia un’intervista a Tota Pulchra , anticipando la pubblicazione del suo prossimo libro ‘’Nunc stans – eternità della presenza e riconciliazione’’.

Professore, lo stato etico di hegeliana memoria è ancora possibile in questo mondo ?

«Purtroppo c’è una lettura sbagliata della concezione dello Stato Hegel, quella che per esempio ne ha dato Popper. Quello hegeliano non è uno Stato totalitario, per come comunemente lo intendiamo. Non abbiamo cioè l’imposizione di un qualcosa di esterno ed estraneo ad una singolarità. Nessuna libertà viene schiacciata da un potere costituito. Quello che Hegel ci disegna è uno Stato che ha una porta d’ingresso e la porta d’ingresso è la libertà del singolo. Non è un caso che tutta la costruzione dell’edificio parta dall’individuo, dalla persona soggetto di diritti. È uno stato cioè che si costruisce armonicamente a partire dalle libertà di tutti. È come un’orchestra, ci sono i fiati, ci sono i legni, c’è chi segue una linea melodica, e c’è chi provvede a dare ritmo al semplice dispiegarsi della musica, le percussioni. Ognuno esprime se stesso al meglio e ognuno concorre a quell’esteriorità unitaria che si coglie nella dimensione dell’ascolto. La pretesa individualistica dello strumento non assicura nessuna libertà reale, l’identità dello strumento non viene affatto valorizzata od esaltata, perché, esprimendosi, parteciperà a qualcosa di simile a un rumore, a un’accozzaglia di suoni a caso. Le teorie liberali vogliono questo, che ognuno suoni, e questa confusione la chiamano libertà.

I teorici liberali vedono nello Stato un Leviatano, un mostro pronto a pretendere altari e sacrifici. La fine dello Stato non garantisce al singolo nessuna libertà reale, perché se tutto si frantuma in un far west, senza unità e senza leggi, se tutti diventiamo sceriffi, il singolo si trova in un pericolo maggiore, cadere in balia del più forte o del più prepotente. Assenza di Stato non vuol dire maggior tutela».

Come si possono congiungere, dal suo punto di vista, l’esperienza del sacro in ogni istante e progettualità del futuro? In poche parole l’utopia e l’utopismo sono conciliabili?

«Il sacro è espressione dello spirito dell’uomo. Nel senso più alto. Lo spirito è la coscienza che un’epoca ha di sé, il suo sapere che, secolo dopo secolo, si mette a fuoco e si chiarifica sviluppandosi in un palcoscenico che chiamiamo storia. Il futuro è qualcosa che ci aspetta e che stiamo preparando. Non esistono futuri a caso, la si chiami Grazia, la si chiami Provvidenza. Esser profeti vuol dire questo, saper cogliere i segni di un divenire e capire come si disporrà il presente. Vale anche per la tradizione sapienziale o religiosa. Non esistono religioni o sapienzialità al plurale. Esiste un unico sviluppo teoretico, certo spalmato in varie tradizioni culturali, cioè in varie interpretazioni. La verità, citando Pareyson in modo un po’ disinvolto, la possiamo cogliere solo in una interpretazione. Non è bello da dire, ma la verità è nuda, noi le mettiamo gli abiti addosso. Lo sguardo filosofico sa guardare dentro il vestito, sa cogliere quella struttura di senso comune che le “rappresentazioni” storiche raccontano con i loro miti».

Che differenza c’è tra l’arte della persuasione e la diabolica arte della manipolazione? Spesso si fa una grande confusione a tal riguardo…

«Nel momento in cui ti persuado, ti sto già manipolando. Se io ho degli occhiali, vedo meglio. Persuadendoti, ti dico quello che vedo. Certo, potrebbe andare peggio. Ti potrei dire che c’è quello che non vedo. Sempre dando per scontato che i miei occhiali siano davvero i migliori. La filosofia non deve fare né una cosa, né un’altra. La filosofia deve darti gli occhiali. Nei luoghi deputati alla bildung, certo. E la consulenza filosofica è per esempio uno di questi momenti in cui si può guidare la formazione di un cliente. Ma io non ti posso dire questo o quello. Non posso fare l’oracolo. Devo darti invece gli strumenti per permetterti di vedere tu come stanno le cose».

Sta rilasciando questa intervista per una rivista di ispirazione cattolica. Cosa rappresenta, anzi, cosa è per lei Cristo Gesù?

«La Rivelazione è il compimento dello Spirito. Il Cristianesimo è un messaggio di salvezza. La caduta di Adamo, la perdita di una natura, ci ha precipitato in questo stato coscienziale, Cristo ci indica come tornare alla nostra natura, come diventare Cristo a nostra volta. Ce lo dice con quanto ci ha lasciato, il “mistero” del pane e del vino, del suo corpo e del suo sangue. Ma mistero non è un che di occulto, di segreto, qualcosa che rimane inaccessibile alla nostra ragione: “mysterium” vuol dire ufficio, servizio. La teologia ha ritenuto la filosofia accessoria, quando non del tutto pericolosa ed eretica. La filosofia invece dona comprensione, perché la fede sta a suo agio in un tappeto razionale. La spiegazione razionale delle verità di fede, cioè, non toglie niente, semmai aggiunge. E in un’epoca disillusa come la nostra la teologia rischia di ridursi a un balbettare bambino di cui non è convinto più nessuno. La teologia ha bisogno della filosofia per spiegare quello che custodisce. In “Nunc Stans. Eternità della presenza e riconciliazione” io vado in questa direzione. Con quanta efficacia non lo so, magari ditemelo voi».

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