Il neoespressionismo di Incorpora è un esempio di stile originale, personale, non debitore di modelli, correnti e artisti in senso stretto. Le sperimentazioni indicano una grande autonomia dell’artista nelle proprie ricerche. Andando a osservare la poliedricità della produzione artistica di Incorpora, si dimostrerà infatti come l’artista abbia messo a punto una cifra stilistica personalissima e marcatamente neoespressionista.
La presenza del prefisso “neo-” è motivata dalla ripresa e dalla reinterpretazione delle istanze dell’Espressionismo europeo degli inizi del Novecento. Parlare di “aspetti di neoespressionismo” vuol dire isolare alcune ma rilevanti caratteristiche di un artista, Salvatore Incorpora, erede del clima espressionista, che nasce e si sviluppa in più stadi, in più coordinate storico-artistiche, in molteplici periodi.
L’Espressionismo fu un clima legato a una forma di linguaggio, che dava all’emozione uno strumento per urlare le proprie verità, attraverso la violenza del colore e un’estetica antirinascimentale. Diversamente dai francesi, orientati all’istinto e alla felicità (si pensi a Matisse nella Joie de vivre, dipinto del 1905-1906), i pittori tedeschi del Die Brücke rivelavano una derivazione romantica, che sarebbe sfociata nella tragedia e a volte nel misticismo. Allo stesso modo, Incorpora parla dell’interiorità attraverso il colore, racconta il dramma del proprio passato, ma guarda all’umanità come a un mondo da salvare.
Salvatore Incorpora nasce a Gioiosa Ionica (Reggio Calabria) l’1 gennaio 1920. Da giovane è avviato alla scultura nella bottega della madre, Gemma Murizzi. La plasticità naturalista delle “maddame gioiusane” della genitrice fornisce la prima mano alle sculture di Salvatore Incorpora, che riporta nella creta dei bozzetti l’essenza della Magna Grecia.
All’età di 21 anni Incorpora parte da Gioiosa Ionica alla volta della Grecia. Partecipa alla guerra sul fronte balcanico per due anni, fino al 9 settembre 1943. Quel giorno sarà arrestato dai tedeschi, dopo il rifiuto ad unirsi alle milizie repubblichine. Da lì verrà tradotto in Polonia nell’orrore dei lager nazisti.
La guerra lascerà un solco profondissimo nell’animo dell’artista. Ne parlerà lui stesso in Quell’andare. Da un diario, un racconto in pagine di diario sulla bestialità umana:
Gli alberi a Warthenau sono vecchi di secoli e rami stecchiti hanno cielo. Il gelo sul laghetto è palestra ai ragazzi, il sole riposa sopra nubi e sui carri fermi alla stazione, il prigioniero scarica carbone.
Warthenau ha sangue ancora sulle vie per gli ebrei fucilati, miseria e dolore, uomini in montagna e donne in fonderia che fanno bombe per il tedesco invasore.
Liberato dai russi, Incorpora dà inizio all’odissea di ritorno alla sua Calabria. I russi non saranno meno duri con i prigionieri liberati dai lager. Incorpora sarà sottoposto nuovamente a lavori forzati per la prosecuzione del conflitto bellico.
Durante il reinserimento nella vita civile in paese, Incorpora si diploma presso il Liceo Artistico di Napoli da esterno nel 1945. Lo sposalizio con Anna di Bella, originaria di Linguaglossa, lo porterà a stabilirsi nel paese etneo per tutta la sua vita, a partire dal 1948.
La frequentazione di un circolo di artisti e scrittori catanesi negli anni Cinquanta e Sessanta, gravitanti attorno alla figura carismatica di Santo Calì, lo porta a familiarizzare con un ambiente di sinistra. Incorpora svilupperà un socialismo cristiano, affrontando le tematiche sociali con lo sguardo agli ultimi.
Verso la fine degli anni Cinquanta, l’artista gioiosano matura un neoespressionismo personalissimo: tutta la produzione sarà una metafora del proprio vissuto. La cifra stilistica si svolge in corpora, in un figurativo che deforma i visi e ingrandisce mani e piedi senza rapporti di proporzione. Chiaro riferimento, quest’ultimo, all’ingrossamento della pelle causato dal freddo della neve durante il ritorno a casa: “quando ero bambino, per miseria camminavo scalzo. Durante la mia lunga prigionia in Grecia, in Albania, e in Russia ero o con le scarpe rotte o con i piedi sanguinanti e congelati” (G. Mangano, La commedia umana di Salvatore Incorpora, in V. Sgarbi, a cura di, Salvatore Incorpora. 1920-2010, Genova 2019, p. 26).
La violenza cromatica è l’aspetto fondamentale della tavolozza. Incorpora non nasconde il debito verso la tradizione espressionista europea, “nel ricordo di Maestri quali […] Scipione, Mafai, Guttuso, Migneco”. Sono queste le parole che scrive a Francesco Messina in una lettera del gennaio 1954, opponendo al modellato classico messinese un canto
a squarciagola, affinché serva, il canto gridato, a denunzia dei mali o a delirio del bene […]. Forzo e deformo intenzionalmente, disegno e colore violando, sgrammatico pure voglioso soltanto di accentrare le qualità emotive e sensuali.
Di particolare rilevanza è la Mostra nazionale del bianco e nero, tenuta al Circolo artistico di Catania nel 1958, dove Incorpora espone accanto a Mafai, Fazzini, Carrà, Prampolini e Turcato. La prossimità a Mafai può considerarsi come un fattore non trascurabile per la fase d’incubazione dello stile neoespressionista incorporiano.
Nel 1960 circa Incorpora realizza Il triciclo della posta.
Come scrive il Saponaro (S. Saponaro, Il triciclo della posta, in V. Sgarbi, Antonio D’Amico, a cura di, Guttuso Incorpora Messina. Inedite visioni ai piedi dell’Etna, Alessandria 2016, p. 64), l’opera è il preludio alla “semplificazione geometrizzante di matrice cezanniana tipica degli anni Sessanta”. La cassa rossa del triciclo è il
centro visivo della composizione […]: un gioco di forme geometriche struttura lo spazio pittorico attraverso il dialogo delle circonferenze delle ruote dei cicli con il parallelepipedo rosso della cassa. Il colore, ristretto a una sceltissima gamma di rossi e grigi, è steso con velature leggere e rapide sui margini del dipinto e si addensa via via verso il centro dell’opera.
Il medesimo geometrismo cezanniano è presente anche in Paesaggio (Vecchie case a Linguaglossa) del 1964. Volumi puri definiscono lo spaccato cittadino.
I “toni bruno-rossastri che accomunano la terra al cielo” rimandano alla serie degli olii con vedute della montagna Sainte-Victoire, realizzati nei primi anni del Novecento, dove i colori della terra compaiono nel campo del dipinto occupato dal cielo e viceversa.
Binario morto, realizzato nel 1965, dà invece l’abbrivio alle opere incentrate sui ricordi di guerra. L’atmosfera greve dei colori scuri impregna il dipinto. Il geometrismo cezanniano si intreccia qui con la cromia cupa dei paesaggi urbani di Sironi.
Diversamente da Guttuso, invece, il gioiosano non rinvigorirà in senso plastico i corpi nella sua fase matura, ma rimarrà fedele alla tendenza selvaggia della figurazione del gruppo “Corrente”, della Scuola Romana di via Cavour e dei Chiaristi lombardi, antiaccademica e antinovecentista. La componente scopertamente politica del pittore di Bagheria non sarà manifesta in Incorpora, rimanendo al livello della trattazione tematica delle problematiche sociali del suo tempo.
È del 1973 la tela Le Ciminiere di Catania, la cui fuga prospettica mette in evidenza gli ex edifici industriali dell’omonima raffineria (oggi Galleria d’Arte Moderna di Catania). Le tinte fosche sono in contrasto con l’acidità vibrante del cielo nella tonalità gialla come lo zolfo lavorato in fabbrica. Si può intuire l’empatia del pittore verso le condizioni disumane in cui si svolgeva la raccolta dello zolfo nelle miniere.
Il premio delle arti figurative “Tavolozza d’oro” del 1971, a Vizzini, consacra l’arte di Salvatore incorpora accanto a quella di Giuseppe Migneco, quali espressione autorevole del mondo verghiano. La vittoria in ex aequo dei due pittori con Giuseppe Mazzullo, Nunzio Sciavarello e Sebastiano Milluzzo sancisce il riconoscimento della loro capacità di recuperare la memoria dello scrittore siciliano. La materia verghiana si inserisce nel clima di contestazione di quegli anni: l’attenzione si focalizza sul lavoro e sui “vinti” della storia, dei quali soprattutto Salvatore Incorpora sarà interprete.
Come Verga, Incorpora “mostra una storia invece di raccontarla”: così Sarah Zappulla Muscarà, nella monografia curata da Sgarbi per Silvana il 2019, associa l’arte di Incorpora al massimo esempio del Verismo. Rileggere Verga, per Incorpora, significa immedesimarsi in un popolo, quello siciliano, che nel sentire comune “nulla conosce all’infuori del lavoro e della sofferenza” (S. E. Cesareo, Mostra di Salvatore Incorpora, in S. Calì, La lunga stagione di Salvatore Incorpora, Catania 1970, p. 8).
La “denunzia dei mali”, però, non deve farci pensare a una semplice presa diretta del reale: una nota manoscritta dell’artista descrive una scelta che va oltre: è un “espressionismo” declinato “in senso umanistico” come “contemplazione dell’umano travaglio non pietisticamente, fine a se stessa, ma catartica come liberazione dell’angoscia sulla sopravvivenza dello spirito”. Gli stessi presepi annunciano la salvezza universale nel mistero dell’Incarnazione: le minuscole figurette anonime di questi manufatti polimaterici superano l’individualità delle proprie caratteristiche fisionomiche per proiettarsi verso la coralità delle anime che cercano Dio.
Questo movimento ascensionale, tuttavia, non conduce l’artista al non-figurativo. Incorpora nasce nella generazione degli Informali, ma non regredisce agli impasti primordiali di Dubuffet, né alla materia magmatica del più vicino Leoncillo. Diversamente si può dire per l’astrazione, se pur ci rimanga soltanto una tela in quella direzione.
La lettera inviata a Francesco Messina non dichiara, però, il debito diretto dell’artista verso Giacomo Manzù.
In Sublimata ascesi (1973) il Cristo appeso per un braccio alla croce riprende senza dubbio la Crocifissione con soldato del 1942.
Più incerto, ma plausibile, il confronto che si può instaurare tra La famiglia (1974) dello scultore bergamasco, conservata alla Fondazione Lercaro di Bologna e la Maternità (2000) realizzata da Incorpora per il Policlinico di Catania.
Elementi che accomunano i due lavori: la madre e la Madonna sono leggermente rialzate sul busto; le gambe poggiano piegate su quest’ultimo e tra le braccia tengono il proprio figlioletto. I volti di madre e figlio sono in entrambi i casi posti in una situazione di fusionalità completa: il bambino partecipa alla gioia della madre rispondendo con lo stesso sorriso, secondo il tema in questione.
Nelle Vie Crucis Incorpora raggiunge il punto qualitativamente più alto della sua produzione. Spicca soprattutto quella della Chiesa Maria SS. di Fiumefreddo di Sicilia (Catania). Le stazioni sono lastre in rilievo a grandezza quasi naturale (120×283 cm). Lo stile neoespressionista è intrinsecamente metafora del Calvario di Cristo. Si veda, in particolare, la XII stazione: i volti ferini dei soldati romani contrastano con le maschere sofferenti dei parenti di Cristo. I visi dei ladroni e di Gesù sono deformati dalle smorfie di dolore, accentuato dal parossismo delle braccia del Figlio di Dio inchiodato alla croce. Il verticalismo della composizione è ribadito dall’asse centrale determinato dalla lancia e dalle lame leggermente aggettanti dal fondo.
Il carattere nordico della composizione pone Incorpora alla stregua del Vesperbild, nato nel Trecento e diffuso successivamente in Italia. L’iconografia assume un carattere espressionistico ante litteram per la deformazione e l’accento grottesco sulle ferite del Cristo deposto, che pare familiare all’Incorpora neoespressionista. Non è da escludere che l’artista avesse potuto guardare alle opere di questa iconografia nelle chiese disseminate sul territorio del nord Europa.
È del contesto germanico l’accostamento che fa Sgarbi delle mani di Incorpora con la Crocifissione del Polittico di Issenheim, di Matthias Grünewald: “sono mani che si muovono, si allungano o si agitano e si deformano ingrandendosi” (V. Sgarbi, a cura di, Salvatore Incorpora, op. cit., p. 14).
Incorpora partecipa in prima persona al racconto della Passione. È della XIII stazione della Via Crucis della chiesa dei Santi Antonio e Vito a Linguaglossa l’autoritratto sul braccio sinistro della croce, nell’atto di avvolgere la salma di Cristo con il lenzuolo profumato.
Rispetto a quanto detto finora, appare lecito affermare che la memoria della guerra e dei patimenti sia maggiormente trascurata da Incorpora a partire dagli anni Ottanta. Nel 1984 l’artista si affranca dall’insegnamento scolastico e si dedica più assiduamente agli affetti familiari. La visione dell’esistenza è positiva e la pulsione vitalistica permane fino alla morte. In Natura morta con bucce d’arancia e lillà (1988) “la tavolozza si rischiara, le zone di bianco si allargano e la pennellata ritrova la leggerezza sfumata che aveva caratterizzato molte tele degli anni Cinquanta”.
Negli anni Novanta e nel primo decennio del XXI secolo cambia il modo di stendere il colore: la pennellata è dolce e sfumata, nello sfondo il colore è steso con leggerezza e si fa meno materico rispetto ai decenni precedenti, benché la pittura non perda di vigore grazie all’uso della marcata linea di contorno che definisce le forme.
Sulla stessa scia il Saponaro segnala altri dipinti dai soggetti bucolici, composizioni floreali e temi ludici o vacanzieri in cui le figure vengono sottratte all’isolamento e inserite in scene corali o familiari, mentre il colore viene frantumato in pennellate brevi e sfrangiate e vira frequentemente sui toni dell’azzurro.
Si tratta di Pescatori che trasportano le reti e Pescatori che portano a secco una barca (conservati al Museo Incorpora-Messina di Linguaglossa), lasciati incompiuti alla morte dell’artista.
Salvatore Incorpora si spegne a Linguaglossa il 29 luglio 2010.