Nel 1973, Salvatore Incorpora (1920 – 2010) inaugura la Via Crucis della Chiesa Maria SS. del Rosario, a Fiumefreddo di Sicilia (Catania). Le 14 stazioni si stagliano sulle pareti nei loro 120×283 cm di terracotta policroma patinata. Monumentali scene di dolore, per il Figlio dell’uomo, che evitano lo scivolamento della narrazione verso la cronaca ordinaria (come ha giustamente notato Sergio Cristaldi in La Via della Passione, edito da Silvio Di Pasquale nel 2018). Nomen omen: l’arte di Incorpora si svolge nei corpi (“in-corpora”, al di là dello specifico ablativo plurale del complemento di stato in luogo latino davanti in, che non avrebbe “-a” come desinenza propria), perché solo i corpi tumefatti, deformati, innaturalmente slanciati restituiscono la verità della croce. Incorpora lo sapeva: solo l’espressionismo, per l’artista, sarà l’unico linguaggio in grado di presentare, icasticamente, la sofferenza umana. Lo sapeva lui, che dalla sofferenza della guerra era sopravvissuto.
Calabrese di nascita, prigioniero di guerra nei lager nazisti, poi liberato dai russi e inviato ai lavori forzati nelle trincee, Incorpora torna a casa nel 1945 e riprende a vivere. Si sposa con Anna Di Bella e con lei, nel 1947, si trasferisce a Linguaglossa, alle falde dell’Etna, per stabilire la sede principale della sua attività. Artista engagè, professore di liceo, poeta, scrittore, impegna le sue energie per vivere intensamente il suo territorio di elezione. La guerra lo segnerà profondamente, orientandone spesso le scelte artistiche.
Così, alcune delle stazioni della Via Crucis di Fiumefreddo mostrano una creta che deforma i volti, anziché delinearli: nella I stazione [fig. 1], Giuda ha un volto di cane. L’avvinghiamento e lo sbilanciamento verso il Cristo non muovono quest’ultimo, che si staglia lungo il pannello con postura colonnare. Il volto dell’Emmanuele è sereno. La mano sinistra incontra quella del traditore, uno dei Dodici. Il gesto è la prova evidente dell’amore totale incondizionato di cui parla il Vangelo: “li amò fino alla fine”.
Analogamente, i soldati della II stazione [fig. 2] hanno dei profili demoniaci, mentre insultano e percuotono il Cristo.
Nella VII stazione [fig. 3], inoltre, il soldato romano guarda il visitatore con un sorriso beffardo. Il Messia, simmetricamente affiancato rispetto all’asse centrale della lastra, ci osserva col volto scavato, quasi sopraffatto dai patimenti, ma non vinto.
Qui, il gioco delle dimensioni esalta, ancora una volta, il gigantismo del Cristo, rispetto al sommo sacerdote, assiso in secondo piano: si ha un capovolgimento della rappresentazione dell’autorità temporale e spirituale del mondo antico e nel Medioevo: il sovrano non è più ingrandito notevolmente rispetto ai civili che lo affiancano, ma svilito nelle proporzioni, significativamente ridotte rispetto al soldato e a Gesù il Nazareno.
Nella IX [fig. 4] e nella X stazione [fig. 5], per converso, sono le donne a non avere tratti distintivi (ad eccezione della Madonna): è forse un’ode dell’artista all’empatia femminile, protesa alla sofferenza degli ultimi più degli uomini?
La XII stazione [fig. 6] spicca tra tutte per il verticalismo della composizione, accentuato dalle lame dello sfondo del pannello e dall’asse centrale, evidenziato dalla lancia. Le mani del Crocifisso sono aperte e le dita si contorcono, richiamando la Crocifissione del Polittico di Issenheim (1516) di Grünewald (ricordato da Vittorio Sgarbi in Salvatore Incorpora. 1920-2010, pubblicato da Silvana Editoriale nel 2019). Le braccia di Cristo sono “appese” alla Croce, contribuendo al parossismo della composizione.
Nell’ultima stazione [fig. 7], il Risorto irrompe dalle pietre del sepolcro, facendole deflagrare. La luce trionfa, sopra lo stupore del soldato rappresentato alla base del pannello.
Non si possono non notare i tratti nordici del volto del Cristo. I capelli e la barba sono biondi o castani chiari, mentre gli occhi si dipingono d’azzurro. Sul Cristo di Fiumefreddo Incorpora proietta i mille volti della prigionia nel nord Europa: Gesù è il Vercingetorige d’Israele, un re spogliato della sua autorità, pronto a consegnarsi agli aguzzini. Nelle deformazioni dei corpi, in particolare, si può ravvisare la scultura nordica medievale, che Incorpora avrebbe visto, probabilmente, durante il viaggio verso i lager polacchi e durante il viaggio di ritorno a casa: il Crocifisso ha un corpo sgraziato, macilento, scheletrito. Incorpora parla dei luoghi e delle chiese visitate da lui stesso nel nord Europa in Quell’andare. Da un diario, racconto delle disavventure nel clima bellico secondo la forma del genere letterario segnalata dal titolo. Ciò non toglie la conoscenza generale dell’arte tout court da parte di Incorpora, ottenuta al Liceo Artistico di Napoli nel 1945 e mediata attraverso l’insegnamento di Disegno e storia dell’arte nelle scuole superiori catanesi, fino al 1984.
In ogni caso, è sicuro il debito del neoespressionismo incorporiano verso la tradizione espressionista europea: in una lettera a Francesco Messina del gennaio 1954, l’artista medesimo dichiara, tra l’altro, l’intento di violare il disegno e il colore “a denunzia dei mali o a delirio del bene, […] nel ricordo di Maestri quali […] Ensor, […] Scipione, Mafai, Guttuso, Migneco e schiera altra infinita di cantori a voce alta, forte e armonica”.
Il coinvolgimento spirituale dell’artista alla Passione è suggellato nella terracotta cromata della XIII stazione [fig. 8] della Via Crucis (1990) della Chiesa dei SS. Antonio e Vito a Linguaglossa: Incorpora si autoritrae mentre aiuta ad avvolgere il corpo di Cristo in un lenzuolo, secondo l’iconografia della Deposizione nel sepolcro.
Quest’ultimo lavoro di Incorpora non è stato accettato inizialmente dai parrocchiani, ma i corsi e i ricorsi storico-artistici hanno affermato la bontà della soluzione artistica delle stazioni, che sono rimaste al loro posto.