L’organizzazione dei musei in Italia si differenzia da quella degli altri paesi europei per la maggiore tendenza a ospitare le collezioni in edifici storici. Nell’Ottocento in Europa e negli Stati Uniti si registrò la nascita di grandi musei costruiti ex novo ma nella penisola italiana si dovettero affrontare alcune “problematiche” legate al relativo contesto architettonico e urbanistico. Il vasto patrimonio monumentale italiano consta la significativa presenza di edifici di rilievo storico in tutto il territorio nazionale. Spesso questi edifici videro un cambio d’indirizzo nella propria funzione, ospitando così al loro interno le collezioni museali. La storica frammentazione politica di certo favorì il “riutilizzo” degli edifici storici ed ebbe come conseguenza la creazione di molti centri storici con una forte identità locale. Questo spiccato policentrismo agevolò, sin dal principio, lo sviluppo di musei locali. Mantenere gli antichi nuclei museali nelle loro storiche sedi è considerato un modo per preservare, promuovere la storia e la cultura specifica di ogni area.

Questo quadro storico permette di comprendere che la funzione di alcuni luoghi necessita di una lettura più articolata. Per conoscere un luogo nella sua complessità bisogna idealmente “separarlo” negli elementi che lo compongono in modo da capire la varietà di ciascuna delle componenti che lo rendono unico, avvicinandoci così alla giusta lettura e successivamente alla comprensione di cosa “significhi” quel luogo.

Esempio di questa complessità è il Museo Civico Castello Ursino istituzione che si lega in maniera indissolubile al suo “contenitore”, il maniero voluto nel 1239 dall’imperatore del Sacro Romano Impero Federico II di Svevia, il quale ne affidò la costruzione all’architetto Riccardo da Lentini suo “praepositus aediciorum”. Simbolo dell’architettura sveva in Sicilia, il Castello Ursino presenta una pianta quadrata sviluppata intono a un corte centrale con quattro torri cilindriche angolari e torri semicilindriche al centro dei lati. Un esempio di regolarità e perfezione geometrica fondata sull’uso del modulo quadrato sul quale gli architetti federiciani inserivano l’uso di campate quadrate coperte con crociere, già in uso negli ambienti cistercensi. Tuttavia, la planimetria di Castello Ursino e la presenza della conformazione cilindrica delle torri, riconduce al gruppo dei Castelli degli Omayyadi: influenza derivata dall’architettonica militare araba che si spiega con la partecipazione dell’imperatore alla Sesta Crociata. Inoltre, è dibattuta dagli studiosi la collaborazione per la costruzione del maniero di maestranze ebraiche provenienti probabilmente dall’attiguo quartiere della Giudecca. Sulla torre di nord-ovest sono raffigurate con ciottoli di fiume due menorah, simbolo di tolleranza e di sincretismo tra culture diverse dell’epoca sveva in Sicilia.

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Salone d’Armi, ingresso principale del Museo Civico Castello Ursino.

La plastica architettonica derivava anch’essa da modelli cistercensi con relative traduzioni federiciane. Di particolare interesse, sull’ingresso principale del maniero, la nicchia ad arco trilobato che racchiude la scultura di un’aquila che strozza tra gli artigli una lepre, a volte identificata come un agnello: probabilmente un simbolo intimidatorio di sottomissione imperiale. Nonostante la piccola nicchia, il Castello Ursino è definito da una sobrietà esterna caratterizzata da grandi superfici lisce, poichè costruito per adempiere alla sua funzione prettamente bellica.

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Nicchia con scultura federiciana, Prospetto Nord Castello Ursino, Catania.

L’origine del nome deriverebbe da “castrum sinus” ovvero “castello del golfo”, termine che indicava in epoca romana una fortezza su un promontorio a guardia della città. Oggi il maniero si trova nel cuore della città a causa della colata lavica del 1669 che, tra l’altro, cambiò l’assetto topografico di Catania. Come si evince da un affresco della sacrestia della Cattedrale di Catania e attribuito al pittore acese Giacinto Platania, il castello non fu investito dalla colata lavica ma perse il carattere di vedetta costiera poiché la massa di lava confluì verso il mare relegando il maniero nel retroterra.

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Giacinto Platania (attr.), Particolare della colata lavica del 1669, affresco, Sacrestia della Cattedrale di Catania.

Numerose le vicende legate al monumento storicamente al centro dei principali avvenimenti pubblici siciliani. Nel 1295, a seguito delle rivolte del Vespro, vi si riunì il Parlamento Siciliano che elesse Federico III Re di Sicilia. Catania divenne Capitale del Regno e fu dimora reale dei sovrani del casato Aragona di Sicilia, ramo cadetto della dinastia reale della Casa d’Aragona.

Nel XVII secolo una parte del castello fu adibita a carcere pubblico. Ancora oggi sono visibili graffiti e poesie dilettali incise sulla cornice in pietra della porta centrale del lato meridionale che si affaccia sul cortile.

Dopo la triste parentesi borbonica che vide il decadimento del monumento, con l’Unità d’Italia fu presto adottata una nuova destinazione d’uso. Il Castello Ursino fu trasformato in caserma militare con la definitiva decadenza artistica nella quale languì fino al 1931, quando iniziarono i restauri a spese del comune di Catania. Il 20 ottobre 1934, alla presenza di Vittorio Emanuele III, fu inaugurato il nuovo museo catanese che vide contemporaneamente la sistemazione delle sale grazie all’archeologo Guido Libertini, soprintendente alle Antichità di Catania.

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Particolare Sala Primo Piano adiacente al Salone dei Parlamenti

Il maniero è oggi “custode” delle raccolte del Museo Civico, le quali raccontano, parallelamente al monumento, la storia della città di Catania e dei protagonisti che contribuirono alla sua rinascita dopo le catastrofi naturali che la colpirono, tra tutte il devastante terremoto che distrusse il Val di Noto nel 1693. Tuttavia, una prima sede del Museo Civico di Catania si ebbe già nel 1874, quando il comune decise di riunire l’insieme di raccolte, allora custodite nel palazzo comunale, nei locali di San Nicolò l’Arena, luogo già adibito a museo durante il Settecento. Quando le collezioni si fecero più consistenti si avvertì l’esigenza di disporre di spazi adeguati all’esposizione dei materiali e, in virtù soprattutto dell’acquisizione dei materiali provenienti dal Museo Biscari, si decise di trasferire tutte le collezioni nel castello federiciano tra 1931 e 1934.

Sono sette i principali nuclei collezionistici presenti. Ad una prima e remota collezione cittadina custodita nella Loggia, così come riportato da fonti del Seicento, presto si aggiunsero nuovi nuclei. Il primo in ordine cronologico attraverso il lascito del presidente della Suprema Corte di Giustizia di Palermo, il catanese Giovan Battista Finocchiaro che nel 1826 decise di lasciare alla propria città natale la sua raccolta di ben 123 dipinti. Un notevole incremento delle raccolte fu raggiunto grazie alle collezioni provenienti dal museo dei frati benedettini di San Nicolò l’Arena. Questo fu possibile grazie alla liquidazione dell’asse ecclesiastico a seguito delle leggi Siccardi, tra il 1866 e il 1868, che comportò l’esproprio del ricco patrimonio di conventi e monasteri. Come anticipato precedentemente, un ricco museo fu allestito durante il Settecento nei locali del monastero di San Nicolò l’Arena dall’Abate Vito Amico e dal Priore Placido Scammacca. Le sale che ospitavano le collezioni del monastero furono successivamente adibite a biblioteche, diventando le Biblioteche Riunite Civica e Ursino Recupero.

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Pittore Ignoto, Ritratto del Priore Scammacca, olio su tela ,fine XVIII sec. Accanto una Pelike Apula del IV sec. a.C. a figure rosse, la stessa indicata dal Priore nel dipinto.

Oltre ai singoli patrimoni degli enti soppressi, che annoveravano opere di rilievo come la Madonna con Bambino di Antonello De Saliba dalla chiesa di Santa Maria di Gesù di Catania, le raccolte dei frati vantavano oggetti di natura molto varia che vanno dalla antichità, ai dipinti fino a manifatture di varia natura come i pregiati tavoli intarsiati.

Di fondamentale importanza è il nucleo proveniente dal Museo Biscari, una collezione formata principalmente dalle “antichità” che, Ignazio Paternò Castello, V principe di Biscari, la personalità più influente del collezionismo settecentesco siciliano, raccolse durante tutta la propria esistenza. Dal suo museo, inaugurato nel 1758, provenivano marmi, sculture, terrecotte, monete, “rarità esotiche”, tavolette bizantineggianti e altri manufatti che furono donati dal principe Roberto, X Biscari al Comune di Catania tra il 1927 e il 1930. Altro consistente nucleo proviene dalla Collezione Zappalà-Asmundo donata tramite lascito testamentario dal Barone Giuseppe Zappalà Asmundo nel 1935 e che costituisce una parte rilevante del nucleo di opere d’arte custodite dal museo civico catanese, soprattutto per ciò che concerne la pittura italiana dell’Ottocento. Altra collezione che si lega alla storia artistica dalla città è formata dalla raccolta di quadri, bozzetti e disegni, del pittore catanese Michele Rapisardi, compresi nella Donazione Francesco Rapisardi del 1913 ed esposti nella Sala che prende il nome del pittore e in cui è possibile ammirare il suo capolavoro, I Vespri Siciliani.

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La Sala Michele Rapisardi al Primo Piano del Museo Civico Castello Ursino.

Gli ultimi consistenti lasciti comprendono le 52 opere tra dipinti e disegni dell’artista catanese Natale Attanasio donati nel 1967 da Maria Brizzi-De Federicis e il lascito Mirone con ulteriori 23 dipinti realizzati tra Settecento e Ottocento. Oggi il Museo Civico Castello Ursino rientra in una rete museale cittadina che comprende il Museo Civico Belliniano, il Museo Civico Emilio Greco, Palazzo della Cultura, la chiesa di San Nicola l’Arena e la Galleria d’arte moderna.

Custodire, comunicare, preservare e tramandare la storia di un territorio sono alcuni dei punti fondamentali che i musei civici devono affrontare nella quotidianità. Una sfida che nel mondo dell’ultra-digitalizzazione deve essere accolta come opportunità, usufruendo dei vantaggi che la tecnologia propone ma con lo sguardo attento alla preservazione della fragile consistenza delle opere d’arte. Un luogo protagonista della storia della città etnea, un libro aperto sul quale è possibile letteralmente leggerne le tangibili prove delle sue secolari trasformazioni. All’interno la storia narrata attraverso i dipinti, le sculture, le ceramiche greche e altri manufatti che testimoniano le vicissitudini di un passato che, se accolto con consapevolezza, può donare al singolo una limpida lettura del presente in modo da renderlo cosciente che sono il dialogo e il dibattito culturale gli unici mezzi per la crescita sociale.

Per “comprendere” un luogo bisogna osservarlo da vari punti di vista. Con questa chiave di lettura avremo chiaro che un luogo come Castello Ursino rappresenta un prezioso modello in cui il patrimonio monumentale diviene custode del patrimonio storico – artistico, un simbolo tangibile di una identità storica da conoscere e riconoscere. Se si tiene presente che esistono luoghi in cui spesso sia la natura che l’uomo ne hanno tolto memoria distruggendone le testimonianze storiche, comprenderemo che un luogo come Castello Ursino non è unicamente un maniero medievale ma conoscendolo sia nei suoi singoli elementi che nella sua interezza avremo chiaro che questo monumento è il volto della storia che dialoga col presente e di cui noi tutti per la sua futura sopravvivenza ne diveniamo, indistintamente, responsabili.

Riferimenti bibliografici e ulteriori approfondimenti:

  1. Mancuso Barbara, Castello Ursino a Catania. Collezioni per un museo, Piccola Biblioteca d’Arte, Kalos Editore, 2008 Palermo.
  2. Pitture in collezione, Venti opere del museo civico di castello Ursino, a cura di Barbara Mancuso e Valter Pinto, Magika, Messina 2019.
  3. Arena Agostino, Il Castello di Ursino nella Storia e nelle “Storie” di Catania, A&B editrice, Acireale 2014.

Per ulteriori informazioni sul Museo Civico Castello Ursino:

https://museocivicocastelloursino.comune.catania.it

https://www.comune.catania.it/la-citta/culture/monumenti-e-siti-archeologici/musei/museo-civico-castello-ursino/

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