L’estate
insegna la stessa preghiera
al papavero e al monaco.
[José Tolentino de Mendonça, Il papavero e il monaco]
Lorenzo Fazzini: «Il suo ultimo libro [Nenhum caminho será longo. Para Uma Teologia Da Amizade, edito da Paulinas] parla della teologia dell’amicizia. Con quali atei ha intessuto questo sentimento?»
José Tolentino de Mendonça: «[…] ho avuto un’amicizia intensa con Tonino Guerra. […] Lui si definiva “un ateo con dei dubbi”. Ecco, in questo mi ricordava Dostoevskij il quale sosteneva: “La mia fede è nata dal fuoco del dubbio”. Quindi anche in questi casi si capisce come spesso la separazione tra non credente e credenti non sia poi così netta. A me piace rifarmi a Simone Weil quando diceva: “Tra un uomo che dice di credere in Dio e uno che dice di non credere in Dio, quello più vicino a Lui è il secondo”. È la posizione della teologia negativa per la quale il silenzio di Dio non è la sua assenza, ma la più grande verità su di lui, verità che sfocia nel mistero». [Fazzini L., Pessoa a Saramago, domande a Dio (articolo web) in «Avvenire.it», 16 novembre 2012].
Tonino Guerra (1920 – 2012 Santarcangelo di Romagna) è stato uno scrittore, poeta e sceneggiatore italiano, un autore dalla penna delicata, amante della natura e delle tradizioni contadine, difensore delle bellezze del creato.
Nella sua carriera ha scritto più di centoventi lungometraggi, collaborando con tutti i più grandi nomi dello spettacolo e del cinema nazionale e internazionale, fra cui: Michelangelo Antonioni, Federico Fellini, Andrei Tarkovskij, Mario Monicelli, Theo Angelopoulos e Wim Wenders. Nella sua lunghissima carriera vincerà un Premio Oscar al miglior film straniero per Amarcord (1975, scritto insieme a Fellini), quattro David di Donatello e cinque Nastri d’Argento alla miglior sceneggiatura.
Il suo talento poetico vide la luce, per la prima volta, all’interno di un campo di lavoro nazista, a Troisdorf, nel 1944 dove, prigioniero, cercava di rallegrare i suoi compagni di sventure recitando poesie sue o della tradizione romagnola.
José Tolentino de Mendonça: «[…] Quello che mai dimenticherò è che la regina di tutte le pastasciutte che mi siano mai state servite era fatta semplicemente di parole. La ascoltai dal poeta Tonino Guerra e la si racconta (o cucina) così. Un gruppo di partigiani era prigioniero in un campo di concentramento. Arrivò il giorno di Natale e, con esso, l’identico, miserrimo rancio di ogni giorno. Per consolarsi, ognuno di loro si mise a ricordare quello che mangiava a casa sua in quella data: tagliatelle al ragù, ravioli alla genovese, un tenero spezzatino di vitello al vino aromatico con la polenta, e così via. Credo sia stato proprio Tonino Guerra a suggerire, in quel momento, di creare un piatto. “Possiamo fare una pastasciutta di parole!”, propose. “Come sarebbe a dire?”, chiesero gli altri. Tonino cominciò allora a parlare velocemente, impartendo ordini precisi. “Metti l’acqua sul fuoco. Tu, vai a prendere una cipolla. Svelto, svelto, falla friggere in un tegame. Uno spicchio d’aglio. Tu, sorveglia il fuoco. Metti quattro cucchiai d’olio. E tu, porta qua il macinato. Un bicchiere di bianco… dov’è il vino bianco? Che meraviglia! Non sentite già il profumo? Mettete sale e pepe. La pasta è cotta. Scolate. Tu… tu aggiungi il ragù. Io ci metto sopra appena una nuvola di parmigiano e… ecco pronto. (Applausi). Presto, presto, venite tutti qua coi vostri piatti”. Quegli uomini aprirono le mani a forma di mestolo e con gesti fiduciosi le portarono alla bocca, assaporando lentamente quel prodigio invisibile. Quando l’ultimo fu servito, il primo chiese: “Posso averne ancora?”». [La mia migliore pastasciutta? Era fatta solo di parole… (articolo web) in «Avvenire.it», 7 gennaio 2016].
Tornato a casa nell’estate del 1945, Tonino Guerra comporrà la sua più celebre e toccante lirica in santarcangiolese, intitolata La farfalla, simbolo distintivo della sua poetica per tutta la vita.
La farfàla
Cuntént própri cuntént
a sò stè una masa ad vólti tla vóita
mó piò di tótt quant ch’i m’a liberè
in Germania
ch’a m sò mèss a guardè una farfàla
sénza la vòia ad magnèla.
La farfalla
Contento proprio contento
sono stato molte volte nella vita
ma più di tutte quando mi hanno liberato
in Germania
che mi sono messo a guardare una farfalla
senza la voglia di mangiarla.
Con il supporto di Carlo Bo, Augusto Campana ed Elio Petri inizia a pubblicare le sue prime raccolte poetiche dialettali e, negli anni successivi, decide di trasferirsi a Roma per lavorare nel mondo del cinema come sceneggiatore. Fra gli anni Sessanta e Settanta conosce il successo con film come: L’avventura (Michelangelo Antonioni, 1960), Matrimonio all’italiana (Vittorio De Sica, 1964), Casanova ’70 (Mario Monicelli, 1965) e Zebriskie Point (Michelangelo Antonioni, 1970). Negli anni Settanta conosce anche la sua amatissima musa, traduttrice e moglie Eleonora Kreindlina (conosciuta come Lora Guerra) che gli trasmette l’amore per il sentire orientale e per la Russia, patria di adozione del poeta. Grazie a lei, conoscerà anche Andrej Tarkovskij col quale girerà in Italia Nostalghia (1980), penultimo film del regista.
A metà degli anni Ottanta, Guerra decide di ritornare nella sua terra natia, prima a Santarcangelo e poi a Pennabilli, centro del Montefeltro e della Valle del Marecchia. Qui sviluppa le sue abilità creative nel campo dell’arte e della scultura, supportato da artisti e artigiani locali, e costruisce un museo diffuso che prende il nome di I luoghi dell’anima, una serie di musei, installazioni, fontane, targhe e altre opere artistiche, che trasmettono ai visitatori il suo ideale di amore per l’ambiente e le tradizioni contadine. Fra queste il Santuario dei pensieri, il Giardino pietrificato e l’Orto dei frutti dimenticati. Proprio a Pennabilli, nella sua amata Casa dei Mandorli, il maestro tornerà in contatto con la natura, curando moltissime cause, come la salvaguardia del suo territorio, oltre che continuando a scrivere per il cinema e per il teatro. Anche nel resto della Romagna, il pensiero creatore di Tonino Guerra è ben visibile in fontane, sculture e moltissimi altri progetti che abbelliscono piazze e luoghi turistici.
Tonino Guerra: «Ecco con le mie opere vorrei suggerire un’innocenza. Anche un’innocenza modesta. Non ho voglia di spettacoli grandiosi, non ne ho voglia. E vorrei tanto che, se per caso, questi lavori dovessero capitare nelle case, non fossero molto più importanti dei muri che li accoglieranno […] Qui si tratta di piccoli suggerimenti. Potrebbero essere dei tentativi di una carezza».
La mia casa a Pennabilli
(a Gianni Giannini)
«Adesso abito quassù
in una casa di montagna
e passo il tempo con delle foglie secche
che le metto in fi la sopra uno scalino;
o vado a toccare quei fi li d’acqua
che saltellano giù da una fessura di sassi
dove le trote stanno accovacciate al fresco
e Silvestro le prende con le mani
come fanno i gatti con le farfalle.
Mi piace anche fare dei conti
con un’aritmetica elementare:
due e due quattro sei e sei dodici
se vai a comprare sette uova e tre cadono
a terra, quante ne restano sane?
O altrimenti faccio delle righe sulla sabbia
del cortile, delle aste una dopo l’altra
per ricordare la sveltezza
delle gambe di una volta e l’aria
piena di lucciole e la bicicletta
e la fionda, gli aquiloni
e laggiù per ogni Ferragosto
il mare che stava disteso dietro montagne
di sabbia come una bestia buona
sotto le carezze del padrone.
Il pomeriggio sto seduto a guardare
la valle e la montagna in fondo
con tutti i campi che sembrano stracci
ad asciugare al sole e ogni tanto le strisce
rosse dei papaveri, dei mucchietti di case
come dei nidi di rondini appoggiati a terra
e la gente piegata a lavorare
piccola come la polvere e io seduto
con tutta ’sta roba dentro gli occhi
e con la memoria che è diventata bianca
e su questo lenzuolo ogni tanto passa
la voce della mia povera mamma
e l’odore delle mele cotogne
che stavano in cima all’armadio».
[Guerra T., L’albero dell’acqua]
Tonino Guerra si spegne a Santarcangelo di Romagna, il 21 marzo 2012, giornata mondiale della poesia e primo giorno di primavera. Le sue ceneri sono incastonate nella cosiddetta Roccia, nella sua Casa dei Mandorli, punto più alto dell’abitazione, dove il poeta amava ammirare la grande vallata del paese in cui ha abitato felicemente gli ultimi venticinque anni di vita, Pennabilli.
È proprio in questo verdeggiante paesino nell’entroterra romagnola, che arrivo undici anni dopo, il primo giorno di primavera del 2023, anniversario della morte di Tonino. La sera del 21 marzo si tiene un incontro al teatro Vittoria, al centro del paese, per ricordare il poeta, un evento che rientra in una serie di manifestazioni organizzate annualmente durante il mese di marzo dal Comune di Pennabilli in collaborazione con l’Associazione culturale Tonino Guerra. La serata in onore di Tonino inizia con un momento dedicato al suo pensiero sull’importanza dell’identità e della memoria. Come mi aveva detto anche l’amica di lunga data e biografa, Rita Giannini, Tonino aveva paura non solo che il mondo avrebbe dimenticato la vera bellezza ma che, un giorno, gli altri non lo avrebbero più riconosciuto e avrebbero, dunque, dimenticato anche le sue parole, i suoi disegni e i suoi pensieri. Ecco l’importanza di queste giornate, incontri con amici, scrittori e artisti, che l’hanno conosciuto e che vogliono ricordare non solo Tonino, ma anche quello che era importante per lui: l’arte, la poesia, la bellezza. Fra questi amici c’è il clown e mimo Vjačeslav Ivanovič Polunin, chiamato solo Slava Polunin e il Cardinale portoghese José Tolentino de Mendonça, prefetto del Dicastero per la cultura e l’educazione, e dirigente della Biblioteca Vaticana, che nei primi anni Duemila, incuriosito dalla fama di poeta di Guerra, decise di andare a trovarlo a Pennabilli, insieme a Monsignor Màrio Rui de Oliveira.
Don Màrio Rui de Oliveira: «Io sono un sacerdote però quel giorno [quando abbiamo conosciuto Tonino] non ero vestito così, quindi quando abbiamo [insieme a Don José Tolentino de Mendonça] iniziato a parlare con Tonino […] però [non ci rispondeva] niente. Allora ho detto a Tonino: “Noi siamo due portoghesi che vogliamo tradurre i tuoi libri in portoghese”. Non è che ci abbia dato tanta importanza, però, io conoscendo questo grande personaggio […] mi sono ricordato: se io dico a quest’uomo che sono un prete, magari lui ci darà un’altra attenzione. Allora gli ho detto: “Tonino, noi siamo due preti portoghesi che vogliamo tradurre i tuoi libri in portoghese”. E lui ha fatto un così bel sorriso malizioso, e mi dice: “Preti… e quante volte peccate al giorno?”». [Intervista di Lora Guerra]
Il Monsignor de Oliveira è traduttore de Il polverone: storie per una notte quieta (Histórias para uma noite de calmaria), nel 2002, e di O mel (E’ mel – Il Miele), nel 2004, in edizione bilingue portoghese-romagnolo, entrambe per la casa editrice Assírio & Alvim.
Di seguito l’intervista, del 21 marzo 2023, a S.E. il Cardinale de Mendonça su Tonino [Geraci A.M., Mangiare una farfalla: cinema e poesia di Tonino Guerra, Il Ponte Vecchio, 2024].
Tolentino de Mendonça: «Vivo questo momento, interiormente, come un pellegrinaggio all’incontro di un amico. Il fatto di non essere presente fisicamente tra di noi non costituisce un ostacolo. Veramente Tonino si trova dappertutto e, soprattutto, si trova in noi, perché noi siamo i testimoni dei nostri amici. Avere un amico è avere un testimone. E siamo, anche, in un certo modo, la prova dell’immortalità, perché quelli che amiamo continuano ad essere vivi. […] Tonino è veramente un maestro vitale di umanità, perché ha aperto porte nel cuore di ognuno di noi. E noi abbiamo bisogno di maestri. […] E oggi noi abbiamo bisogno di avere una grammatica dell’umano. […] Come diceva Tonino: “Noi siamo diventati sconosciuti a noi stessi”. Non sappiamo più cosa sia la nostra umanità. In un laico mistico, perché credo che Tonino sia un mistico, […] noi vediamo la vicinanza […] con Simone Weil, perché ambedue credono che scendendo nel minimo e nel più piccolo e basso che noi tocchiamo l’infinito. […] Io credo molto in quel legame tra la parola kalòs, che significa bello, bellezza, e il verbo kalèo, che significa chiamare. La bellezza è una chiamata. E se noi vediamo le cose che ci chiamano: un fi ore ci richiama, la nuvola nel cielo, il silenzio degli alberi, i frutti dimenticati, un fiume che avanza con tanta fatica attraverso la terra. Le cose chiamano il nostro nome. Abbiamo bisogno di poeti, abbiamo bisogno dei poeti. Oggi viviamo la giornata della poesia. I poeti hanno una funzione sociale, politica molto importante. Noi, alle volte, parliamo dei poeti come importanti soltanto per la cultura. No, è dire poco. Un poeta è importante per la città. E Tonino è un esempio perché il suo libro è il reale. Lui che ha scritto quelle poesie straordinarie: “L’aria è quella cosa leggera, che sta intorno alla tua testa e diventa più chiara quando ridi”. Sembra semplice, ma lì dentro c’è tutto e soltanto l’aria è una cosa leggera. Ma soltanto alla fi ne capiamo che sta parlando di quello che è profondo nella nostra umanità. Allora, abbiamo bisogno dei poeti che ci insegnano, veramente, questo convivio con le cose. Io mi ricordo quando, in una delle prime volte che sono venuto a visitare Tonino, e lui ha organizzato una gita nel bosco per vedere una chiesa abbandonata, una rovina. E lui diceva: “Ma come è importante andare a vedere quelle pietre, perché la testa si riempie di pensieri”. E lui era molto preoccupato di riempire la nostra testa e il nostro cuore di pensieri che non fossero soltanto quelli immediati. Ma accogliere all’improvviso una domanda. In attesa di un dono che la realtà ci offre. Io penso che Pennabilli abbia avuto una fortuna incredibile con quest’uomo. […] Lui era il fabbricante del reale, lui era l’artigiano, lui era vicino al dialetto, al vernacolare e quello faceva di lui, veramente, un qualcuno a cui nessuno rimaneva indifferente; perché era come se la nostra vita entrasse dentro al teatro magnifico, più puro, più bello, perché la nostra vita diventava migliore dentro le parole, dei sogni, delle immagini di Tonino Guerra. […] Lui introduceva nella vita comune momenti rituali […]. Il tempo con Tonino Guerra diventava un tempio, un luogo dove il sacro si toccava con le dita».
Raffaele Milani: «Bellissimo! Grazie. […] A proposito dello scultore, del poeta come scultore, plasmatore, artefice, perché si diffondeva il suo genio su tutte le arti. Tanto che si potrebbe parlare di una pratica skeupoietica, cioè costruttore di cose, di cose visibili e invisibili, reali e non reali. E proprio per espandere questa idea del costruire all’idea del poetare, e dall’idea del poetare all’idea del rappresentare e del sentire… in vari suoi libri, in uno in particolare si dice anche dell’odore, cioè del profumo di Dio. Cioè il profumo di Dio che arriva al cuore della vita […]».
Tolentino de Mendonça: «L’odore è uno dei sensi più fantastici che noi abbiamo, perché è invisibile. Quando noi ci accorgiamo dell’odore, lui ci è già caduto addosso. E l’odore è uno dei sensi che si collega alla memoria. Quante volte, noi entriamo in un posto e all’improvviso un odore ci ricorda dei nonni, dell’infanzia e l’odore ha questo potere di farci rivivere le grandi emozioni. Per questo, ad esempio, l’orto dei frutti dimenticati è il desiderio di tornare all’infanzia del mondo, dove l’odore di una mela apriva strade misteriose dentro di noi. Io ricordo che in una delle visite che ho fatto a Tonino, ero accompagnato da una delle più grandi artiste donna portoghesi, Lourdes Castro. E questa donna eccezionale, che per tutta la vita ha vissuto a Berlino a Parigi, e i suoi lavori sono nei grandi musei del nord Europa d’arte contemporanea. Questa donna per tutta la vita ha lavorato sull’ombra, ha fatto ombre dappertutto. Era un’esperta dell’ombra. Come diceva Goethe: “Dove c’è molta luce, c’è anche molta ombra”. Tonino ha scritto un testo per questa artista,[1] per una delle sue mostre e questa artista ha fatto un erbario di ombre, ed erano le ombre delle piante. E Tonino era felicissimo di conoscere questo progetto e ha scritto un testo fantastico che ha fatto piangere Lourdes Castro e me pure, perché parlando di questo erbario di ombre, in un certo momento alla fine, lui dice: “E di quella ombra usciva un odore, odore della pianta che non si vedeva”. Nel mondo noi ci accorgiamo dell’odore di un altro mondo, nel visibile noi cogliamo alle volte, all’improvviso, una forma inattesa, l’odore dell’invisibile. […]».
Raffaele Milani: «Il profumo di Dio nel silenzio […]. A proposito dell’odore o del sapore di Dio che, a un certo punto del suo libro, Una bellezza che ci appartiene [2020, Edizione Romena], Lei dice, riferendosi all’haiku di Matsuo Bashô: «Silenzio/ Una rana si tuffa/ Dentro di sé». A volte questa sintesi esemplare e assoluta, si ha la dimensione della preghiera. Ed è su questo discorso relativo alla preghiera che io vorrei dire che la metafisica e la poesia si incontrano, sono preghiere o atti di preghiera permanenti. […] Quindi, ecco, volevo chiederle, di nuovo, il suo insegnamento attorno alla dimensione della preghiera ricordando il maestro di umanità e di grandezza, Tonino, insieme agli altri che abbiamo citato».
Tolentino de Mendonça: «Ricordo che una delle cose che mi ha più colpito di Tonino – lui che aveva un amore, un affetto per il monastero, gli piaceva dire che era comunista, ricordare la sua tradizione – è che lui diceva che era un non credente, ma diceva pure una cosa magnifica, diceva che come un credente ha dubbi, tanti dubbi nel suo percorso di fede, un non credente ha anche dei dubbi. E lui parlava volentieri dei suoi dubbi di non credente. E secondo lui la cosa che metteva più in dubbio la sua non credenza, era pensare all’occhio. Lui diceva: “Com’è possibile? È vero che è tutto fisiologico, biologico, ma passare dall’occhio allo sguardo è un miracolo assoluto! La mia non credenza crolla quando io penso a cosa sia un occhio”. Tonino è un grande maestro, esattamente perché lui capiva che la cosa più spirituale non è la risposta, la cosa più spirituale è la domanda. E la capacità, la fedeltà, la generosità, la scelta sudditaria di abitare le grandi domande. Quest’uomo, qui, in questo territorio di frontiera che è una montagna, è naturalmente tra la terra e il cielo. Lui ha scelto di abitare alla frontiera e lui, a tanti di noi, ha regalato domande, pensieri, cose che senza di lui, senza i suoi oggetti e le sue immagini, le sue parole, forse, non saremmo arrivati a quel tesoro. Ma, proprio perché lui ha aperto la strada, noi siamo arrivati lì».
Dopo questa serata, penso che forse è così, forse è stato Tonino a condurmi al suo tesoro, al suo luogo di frontiera tra terra e cielo. Nello stesso pomeriggio avevo conosciuto anche Lora, la moglie di Tonino, alla sua Casa dei Mandorli, grazie all’intercessione del Signor Mario Rossi, un grande ammiratore dei lavori del poeta. Lora, che ha compiuto ottantaquattro anni il giorno prima, è una tempesta di sensi, una donna tutta colorata, con un lungo vestito blu a fiorellini, e una cappa verde che struscia sul pavimento, i capelli rossi e degli occhi azzurri, vivissimi che ti entrano dentro per cercare qualcosa, chissà che cosa. È circondata da opere, mobili in legno, strani vasi, curiosi ninnoli, tappeti, camini, quadri, tende, cuscini e tovaglie dipinte e all’uncinetto con farfalle, mele e sacerdotesse con turbante. La tavola è sempre apparecchiata, piena di piatti, bicchieri e fiori, e un posto in particolare richiama la mia attenzione, quello di Tonino. Qual posto è ancora lì, sempre pronto per lui, che pare esserci ancora, anche se non c’è più. Eppure la sua essenza è rimasta in questa casa magica, una villetta composta dal piano terra, zona giorno, e il primo piano con le stanze da letto. La casa è circondata da un vastissimo giardino pieno di piante, sculture e opere. La Casa dei Mandorli è un quadretto favoleggiante, un regno poetico dominato dall’arte, dalle farfalle e dai gatti. Sembra sempre di poter vedere il poeta da un momento all’altro. Tutti lo aspettano, e nessuna aspettativa viene mai delusa perché lo si può trovare ovunque.
Lora Guerra: «Ti racconto una cosa magica che è successa ieri: eravamo sopra ieri mattina, [alla rupe dietro casa dove è sepolto Tonino] per la preghiera, perché c’era il vescovo Andrea Turazzi. E lui ha raccontato una cosa. A Geremia, Gesù ha chiesto: “Cosa vedi?”. E lui ha detto: Šāqēḏ. In ebraico antico, questa parola significa “mandorlo in fiore”. Noi abbiamo tutti i mandorli in fi ore qui e, quando erano in fiore veramente, Tonino diceva: “Dentro, noi siamo un mazzo di fiori”. […] Ma il vescovo ha detto anche c’è un altro significato per Šāqēḏ, cioè veglia, la preghiera della veglia. E là ho capito: questi mandorli fanno la veglia su Tonino. Tutto coincide. Ti regalo una frase di Tonino che adesso amo tanto: “Il buio del mistero mi illumina”. Questo mistero è anche la fede, che è basata su questo». [Geraci A.M., Mangiare una farfalla: cinema e poesia di Tonino Guerra, Il Ponte Vecchio, 2024]
Mi fu rivolta questa parola del Signore: “Che cosa vedi, Geremia?”. Risposi: “Vedo un ramo di mandorlo”. Il Signore soggiunse: “Hai visto bene, poiché io vigilo sulla mia parola per realizzarla” [Geremia 1:11-13]
Tolentino de Mendonça: «Credo che noi andiamo imparando piano piano, ora con maggiore fatica, ora più serenamente, l’arte del commiato. Di questa arte ho appreso qualcosa dal poeta Tonino Guerra e da sua moglie. Pare trattarsi di una tradizione russa (o, per lo meno, loro la spiegavano così): prima di partire, rimanevamo l’uno accanto all’altro, per alcuni istanti, in puro silenzio. E poi ci congedavamo in un modo leggero, quasi allegro, come se non stessimo per assentarci realmente l’uno dall’altro. Quegli istanti di silenzio, però, avevano allacciato i nostri cuori con una forza che solo rare parole potrebbero avere. Quando, negli addii della vita, ci pare sia inevitabilmente rimasto qualcosa, o quasi tutto, da dire, è bello pensare a quello che ha detto il silenzio, lungo il tempo, da cuore a cuore. Forse, quello che di più significativo noi siamo in grado di condividere con gli altri non trova, nel mondo, linguaggio migliore del silenzio. Ora, anche quando non ce ne rendiamo conto, noi stiamo sempre accomiatandoci. E questo è un dono meraviglioso. È la vita che ce lo dà. Ci vediamo, gli uni gli altri, partire e ritornare, diciamo “arrivederci” e “ciao” con la fiducia che nulla s’interrompe, torniamo a udire mille volte le voci di quanti amiamo, in tal modo prolungando lo straordinario, l’interminabile incontro in cui consiste, in fondo, la nostra esistenza». [L’arte del commiato (articolo web) in «Avvenire.it», 31 marzo 2017]
Tonino Guerra: «Vorrei tanto […] farmi ricordare non come qualcuno che ha fatto tanti film e ha scritto delle parole poetiche, ma come qualcuno che dice agli altri di avere coraggio. Vorrei dire agli altri che il rumore della pioggia è stupendo, e la caduta della neve che imbianca tutti i pensieri è meravigliosa». «Io sarò utile dopo. Sarò utile poi. Quando all’umanità serviranno le favole e quando l’infanzia conquisterà di nuovo la fantasia che le è stata sottratta dalla modernità».
- Il testo di Tonino Guerra si intitola Un incontro con le ombre, contenuto in Racconti (Poligrafi ci Editoriali S.p.A., 2012), in riferimento alla raccolta artistica di Lourdes Castro, Grand Herbier d’Ombres (prima edizione nel 2002 per l’editore Documenta). «[Un incontro con le ombre] Il Grand Herbier d’Ombres mi è arrivato quando a Pennabilli cominciava a nevicare e io stavo con gli occhi a guardare la neve che cadeva sui mandorli attorno a casa. È un libro con le ombre di moltissime erbe di campagna dipinte dalla signora Lourdes De Castro, la grande artista portoghese che ritrae soltanto le ombre di persone o di altre forme di vita. Così io guardavo i ricami della neve e subito dopo le pagine del libro. A un certo punto, nel bianco della valle ho visto delle macchie scure che salivano dalla mia memoria. [L’agosto di Nostalghia] Erano le ombre che passavano sul soffitto della mia camera da letto nel giorno del mio ritorno dalla prigionia in Germania e io cercavo di riconoscere in quei riverberi i miei paesani. Poi la valle oltre la finestra mi è apparsa attraversata dalla grande ombra dell’obelisco di Piazza San Pietro che io vidi in una giornata quando ho trovato Roma completamente deserta. Ho capito dopo che i turisti stavano al fresco delle ombre e se ne erano ammassati tanti in quella dell’obelisco. D’improvviso ho pensato ai bei giorni d’agosto con Andrej Tarkovskij quando lavoravamo alla sceneggiatura di Nostalghia a Bagno Vignoni. Il piccolo borgo toscano ha la piazza formata da una vasca d’acqua calda così da creare nuvole di vapore che annebbiano quel mondo medioevale. È in queste acque che Caterina di Siena bagnava il suo corpo e le parole delle sue preghiere. Una mattina entriamo nella chiesuola sul bordo della strada che gira attorno alla grande vasca. Sediamo su una panca di legno per godere quel silenzio abbandonato. Scopriamo che il fascio di luce mattutina proveniente da una finestra alta stampava sulla parete interna accanto a noi, una piantina selvatica cresciuta sul terriccio portato dal vento sotto la piccola vetrata. Un cespuglio d’ombre incerte che diventava decorazione su quell’intonaco gessoso e umile. [La magia di un muro] Io e Andrej siamo rimasti a lungo a guardare questa immagine tremante che ci faceva arrivare riflessioni profonde. A un certo punto ci è sembrato che nell’aria ci fosse un profumo di menta. Subito ci alziamo per annusare quell’immagine sul muro e capire se l’odore veniva da quell’ombra. Ci parve che fosse proprio così. Ed è per questo che, adesso, ho avvicinato al naso le ombre della pittrice Lourdes De Castro che hanno una presenza viva e misteriosa da far crescere magici pensieri a chi le guarda (1° febbraio 2003)». [Guerra T., Morandi G. (pref. a cura di), Racconti, Poligrafici Editoriali S.p.A., Bologna, 2012, pp. 58-59] ↑