Il termine ESG è relativamente recente in quanto stato coniato ufficialmente nel 2004 con la pubblicazione del report “Who Cares Wins” da parte della UN Global Compact Initiative.

ESG è l’acronimo di, Environmental (ambiente), Social, e Governance, cioè le tre dimensioni fondamentali per verificare, misurare, controllare e sostenere l’impegno in termini di sostenibilità di una impresa o di una banca, per essere consumatori, risparmiatori ed investitori responsabili.

Questo approccio deriva dal precedente concetto di “Triple Bottom Line”, noto anche come “Persone, Pianeta e Profitti” (PPP), introdotto negli anni ’90 e secondo cui le aziende non dovrebbero concentrarsi solo sui “Profitti”, ma su ciascuna delle tre “P”, in quanto ogni impresa non è un’isola a sé stante ma è inserita in un eco sistema economico e sociale.

Questo concetto si è evoluto nei fattori ESG, che oggi sono il caposaldo dell’Investimento sostenibile e responsabile (Sustainable and Responsible Investing, SRI).

L’idea non è nuova, i primi investimenti socialmente responsabili (Sri) risalgono infatti addirittura al 1920, quando un gruppo di investitori ecclesiastici decise di finanziare soltanto progetti ad alto impatto sociale. Nel corso degli anni la pratica si diffuse sempre di più, soprattutto alla luce di alcuni disastri ambientali tristemente famosi[1]

I criteri di valutazione dei tre parametri ESG sono vari e possono essere così sintetizzati:

  • per l’ambiente vengono valutati fattori come: le emissioni di CO2, l’efficienza energetica, l’efficienza nell’utilizzo delle risorse naturali (es. acqua), la gestione dei rifiuti, la scelta di utilizzare solo energia derivanti da fonti rinnovabili e non fossili eccetera;
  • per la sfera sociale vengono valutati fattori come: l’occupazione stabile, la sicurezza dell’ambiente di lavoro, le pari opportunità e il welfare aziendale, la formazione, le adeguate condizioni retributive riconosciute ai dipendenti eccetera;
  • per gli aspetti di governance vengono valutati fattori come: la struttura e organizzazione aziendale, la business continuity, l’etica e l’integrità del management, la protezione dei dati personali, la mancanza di comportamenti elusivi nelle politiche fiscali, la parità di trattamento dei sessi nelle posizioni apicali e nei consigli di amministrazione, le politiche di retribuzione degli amministratori e del management volte ad evitare comportamenti meramente speculativi eccetera;

L’idea di fondo dei fattori ESG non è una mera visione buonista della società ma una modalità di valutazione della redditività di lungo periodo di un’impresa.

Infatti, le imprese hanno maggiori probabilità di generare profitti nel lungo periodo se creano valore per tutti gli stakeholder, ossia per i dipendenti, i clienti, i fornitori e per la società in generale, incluso l’ambiente, non solo per i propri azionisti.

Le aziende che perseguono politiche concrete di miglioramento dei fattori ESG migliorano la propria reputazione e questo influisce non solo sulla preferenza dei consumatori finali, ma anche sul costo del capitale e del credito, in quanto azionisti e finanziatori ritengono tali aziende meno rischiose e più profittevoli delle altre, almeno nel lungo periodo.

L’analisi dei fattori ESG è un’attività complessa in quanto prende in considerazione non solo i prodotti e i servizi forniti da un’azienda, ma anche il suo comportamento manageriale, la sua catena produttiva, la sua cultura aziendale ed altri fattori che per essere misurati in maniera oggettiva ed affidabile richiedono delle professionalità specifiche.

L’attenzione ai fattori ESG diventerà nel futuro una fonte di vantaggio competitivo irrinunciabile per la sostenibilità di qualsiasi azienda indipendentemente dal settore di appartenenza industriale, dei servizi o agricola.

Secondo recenti analisi, entro il 2025 la cosiddetta “generazione guidata dai valori”, ovvero i Millennial[2], rappresenterà i tre quarti delle forze di lavoro globali. Da uno studio di Morgan Stanley è emerso che rispetto al resto della popolazione, i millennial hanno il doppio delle probabilità di investire in aziende con obiettivi sociali o ambientali. Nel solo Nord America nei prossimi anni questa generazione, insieme alla Generazione X[3], è destinata a beneficiare di un trasferimento di ricchezza pari a circa 30.000 miliardi di dollari dai suoi predecessori, i baby boomer[4] e quindi diventerà determinante nelle scelte globali di consumo e investimento.

L’analisi ESG non riguarda solo ciò che l’azienda sta facendo oggi. La corretta valutazione delle tendenze future nelle tematiche ambientali, sociali e di governance e sulle coerenti strategie aziendali, influisce sul valore intrinseco di un’azienda e sulla sua stessa esistenza nel futuro.

Per ognuno dei tre fattori vengono calcolati degli specifici KPI (Key Performance Indicators) che calcolano in misura oggettiva le performance delle aziende in ognuno dei fattori ed il loro progresso nel tempo.

Tali indicatori vendono poi sintetizzati in un rating ESG cioè una misura sintetica ed affidabile delle performance aziendali in materia ambientale, sociale e di governance.

Il rating ESG si affianca ai rating già calcolati sulle aziende, ad esempio, per valutare il rischio di credito, ma a differenza degli altri rating influisce in maniera decisiva sui comportamenti manageriali, incidendo nel profondo sulle scelte di business.

Una buona performance nei fattori ESG è un importante strumento di comunicazione istituzionale che esprime nella forma più sintetica possibile il posizionamento aziendale nel panorama dello sviluppo sostenibile.

Alcuni investitori professionali come le SGR (società di gestione del risparmio), effettuano periodicamente dei monitoraggi sulle imprese oggetto dei loro investimenti, arrivando ad escludere dai loro portafogli, emittenti azionari o obbligazionari che violino principi e normative e che potrebbero esporre la stessa SGR a gravi rischi reputazionali.

Rimangono escluse dalle scelte di investimento delle SGR che adottano tali criteri, le imprese collegate alla produzione e/o commercializzazione di armi che violano i fondamentali principi umanitari (come le bombe a grappolo e a frammentazione, le armi contenenti uranio impoverito, le mine terrestri anti-uomo, le armi chimiche e batteriologiche ecc.); le imprese condannate per gravi violazioni dei diritti umani; per violazioni in materia di frode contabile e fiscale, per riciclaggio e corruzione; per reati relativi a salute e sicurezza dei dipendenti o gravi danni ambientali.

Risultano invece privilegiate negli investimenti di queste SGR, le imprese che presentano performance positive nei rating ESG

Viste le difficoltà di misurazione dei tre fattori ESG, il rischio piuttosto concreto è quello di un comportamento fraudolento del management volto a nascondere le scelte aziendali effettive, dietro foglie di fico, investendo in una comunicazione accattivante che dia l’illusione di un’impresa sostenibile senza però modificare nel concreto le scelte manageriali.

Si sono infatti coniati dei neologismi come greenwashing, o socialwashing per definire tali comportamenti assolutamente anti-etici ma purtroppo abbastanza comuni.

La domanda che potremmo porci da consumatori e risparmiatori è: in che modo posso praticamente verificare se l’azienda, la banca o la catena di distribuzione alimentare di cui sono abitualmente cliente ha buone performance nei criteri ESG?

Il documento principe, almeno per le aziende di grande dimensione, dove possiamo verificare tali aspetti è la rendicontazione non finanziaria disponibile gratuitamente sui siti aziendali a disposizione di risparmiatori e clienti.

La rendicontazione non finanziaria è obbligatoria per le imprese di grandi dimensioni a partire dal 2017 e le obbliga a comunicare le performance ambientali e sociali, così da andare a definire un vero e proprio bilancio di sostenibilità delle proprie attività.

Il decreto legislativo 254/2016 in attuazione della direttiva UE 2014/95, prevede infatti l’obbligo, per le imprese di interesse pubblico con un numero di dipendenti superiore a 500 e con ricavi delle vendite e delle prestazioni superiori a 40 milioni di euro (o uno stato patrimoniale superiore ai 20 milioni), di presentare la rendicontazione non finanziaria

La rendicontazione non finanziaria può essere presentata anche da aziende non sottoposte all’obbligo, in forma volontaria, e può essere considerata in conformità con la normativa senza soggiacere alle disposizioni di legge sui controlli.

Il documento riporta in maniera discorsiva ma anche quantitativa i KPI calcolati per la redazione dei rating ESG.

Nel prossimo articolo parleremo del legame tra il profitto e la solidarietà scoprendo come il poverello di Assisi può insegnare qualcosa ai grandi trader dei mercati finanziari

Continuate a seguirci!

 

Per approfondire

Il link testo del decreto legislativo 254/2016 che disciplina la rendicontazione non finanziaria

https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2017/01/10/17G00002/sg

  1. Santa Barbara nel 1969, Bhopal nel 1984 e Exxon Valdez nel 1989
  2. I Millennial sono le persone nate tra 1980 ed il 2000
  3. La generazione x sono le persone nate tra 1965 e 1980
  4. I baby boomer sono le persone nate tra 1945 e 1965

 

Print Friendly, PDF & Email