Vi è un originale legame tra profitto e solidarietà, una circolarità feconda fra guadagno e dono

Papa Francesco

Se stessimo giocando al gioco degli opposti e qualcuno ci proponesse di trovare il contrario dei mercati finanziari molti di noi penserebbero al Francescanesimo.

Il simbolo del mercato finanziario senza scrupoli nell’immaginario collettivo è Gordon Gekko il protagonista del film Wall Street con il suo motto: “l’avidità, non trovo una parola migliore, è valida, l’avidità è giusta, l’avidità funziona, l’avidità chiarifica, penetra e cattura l’essenza dello spirito evolutivo”.

Quanta differenza dalla dottrina del poverello di Assisi che fidandosi delle parole del Vangelo “Non affannatevi dicendo: Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta” proibiva nella sua regola lo stesso uso del denaro anche in seguito ad elemosina o come ricompensa del lavoro prestato.

La nostra concezione dell’economia ed in generale del mondo degli affari è fortemente influenzata da una visione neo-liberista, anche da parte di chi non ha mai studiato Adam Smith, e questa visione effettivamente contrasta in modo sensibile con l’umanesimo proposto da San Francesco.

Adam Smith afferma il principio dell’”eterogenesi dei fini“: la ricerca diretta dell’interesse privato produce indirettamente bene comune che non ha bisogno della benevolenza degli altri.

La società civile può esistere e prosperare tra persone diverse sulla base della semplice ed assoluta ricerca della utilità individuale, senza alcuna forma di amore reciproco o di affetto.

Non è solo l’affermazione della cosiddetta “mano invisibile” che conduce all’efficienza ed al benessere per tutti quando ognuno persegue solo il proprio egoistico interesse privato, ma è anche la concezione che la gratuità e l’amicizia sono faccende importanti nella sfera privata ma nella vita lavorativa dobbiamo farne a meno proprio perché ci rendono deboli e vulnerabili.

Il cosiddetto “atteggiamento professionale” secondo il quale in ossequio al rispetto dei ruoli, tra i manager, i collaboratori, i clienti, i fornitori, i controllori ecc. non c’è spazio per la relazione amicale che anzi va assolutamente evitata se si vuole un sistema economico efficiente e produttivo.

Ma è proprio così?

Vogliamo davvero vivere in un mondo dicotomico ed a tratti schizofrenico tra la vita privata ed il mondo del lavoro e degli affari.

In un mondo dove infermieri, insegnanti, dottori, bancari, manager agiscono solo negli stretti limiti normativi del contratto di lavoro o di fornitura, senza pensare che dietro un cliente, un capo, un collega, un fornitore, c’è sempre e soprattutto una persona?

Molti servizi relazionali per poter rispondere alle esigenze dei clienti richiedono una certa dose di genuinità e di passione. Io voglio che il medico mi curi bene non solo perché esegue un contratto ma anche perché è genuinamente interessato alla mia guarigione. E vorrei maestre che lavorino non solo per lo stipendio, ma anche perché sono autenticamente interessate ai miei bambini.

Ma arriviamo nel mondo della finanza e del credito, il cliente che viene in banca o dal broker finanziario per investire i propri risparmi o per finanziare la propria attività professionale o imprenditoriale vuole che il suo referente sia interessato “empaticamente” ai suoi progetti di vita e forse persino ai suoi sogni.

Se guardiamo bene, la crisi attuale della finanza e del credito è dovuta alla volontà di cancellare la relazione nel mercato del credito.

Il credito propriamente inteso è una relazione pericolosa e necessaria tra banca e cliente.

Necessaria perché non esiste famiglia o impresa che in un certo momento della sua vita personale o professionale non abbia bisogno di credito, pericolosa perché la promessa di pagare rappresenta un rischio che solidalmente l’intermediario ed il cliente affrontano insieme. Cancellare questa relazione incorporando il credito in un titolo, facendo mercato di qualcosa che naturalmente non è una merce (una relazione appunto) è non solo eticamente discutibile, ma fortemente pericoloso perché crea una situazione deresponsabilizzante dove tutti tendono ad indebitarsi senza regole.

Il mestiere del banchiere non è vendere prodotti finanziari ma valutare professionalmente il merito creditizio.

Sui mercati finanziari il debito è un titolo negoziabile e quindi finché gli acquirenti ci sono, nessun debito è eccessivo perché un debitore potenzialmente insolvente (ad esempio uno stato) potrà sempre essere rifinanziato emettendo altri titoli. L’insolvenza emerge improvvisa e prepotente quando il mercato non assorbe più nuove emissioni, ma appunto emerge perché si è originata prima. Le conseguenze dolorose di questi comportamenti purtroppo sono sotto gli occhi di tutti.

L’elogio dell’avidità di Gordon Gekko e l’assenza della relazione se non su base contrattuale suggerita da Adam Smith, non solo sono eticamente discutibili ma non producono una corretta allocazione delle risorse e del credito.

Ma esiste un’altra possibilità? Un altro modo non utopistico e buonista di gestire il credito e l’economia?

Si esiste e la dottrina sociale della chiesa lo spiega in varie encicliche come la Popolorum progressio di Paolo VI o la Caritas in Veritate di Benedetto XVI, ma in maniera tenera, semplice e magistrale come è nel suo stile lo spiega Papa Francesco nella prefazione del libro del cardinale Muller “Povera tra i poveri. La missione della chiesa”.

Ci sono tante povertà, ma la povertà economica è quella che viene guardata con maggior orrore. In questo c’è una grande verità. Il denaro (nda: e quindi il credito e la finanza) è uno strumento che prolunga e accresce le capacità della libertà umana, consentendole di operare nel mondo, di agire, di portare frutto.

Il Vangelo non disprezza la ricchezza in sé stessa, ma la ricchezza fine a stessa, ossia la pura accumulazione di beni, che non ha altra giustificazione se non quella dell’accumulazione stessa.

Quando l’uomo vive abitualmente nella solidarietà, l’uomo sa che ciò che nega ad altri e trattiene per sé, prima o poi, si ritorcerà contro di lui. In fondo, a questo allude nel Vangelo Gesù, quando accenna alla ruggine o alla tignola che rovinano le ricchezze possedute egoisticamente.

Invece, quando i beni di cui si dispone sono utilizzati non solo per i propri bisogni, essi diffondendosi si moltiplicano e portano spesso un frutto inatteso. Infatti, vi è un originale legame tra profitto e solidarietà, una circolarità feconda fra guadagno e dono, che il peccato tende a spezzare e offuscare. Compito dei cristiani è riscoprire, vivere e annunciare a tutti questa preziosa e originaria unità fra profitto e solidarietà.

Queste parole del Pontefice mettono letteralmente i brividi e mostrano come anche nel campo della dottrina sociale questo papa sia nel rispetto della tradizione, un rivoluzionario che rompe schemi e pregiudizi da anni incardinati nella stessa cultura cattolica.

Il credito, il denaro, la ricchezza e persino il profitto se non usati in maniera egoistica se incardinati nel fine ultimo dell’uomo e della sua magnifica complessità non solo non sono un male, ma contribuiscono ad una civiltà ed una politica più giusta e più equa, ma c’è bisogno della relazione, della solidarietà e dell’empatia.

Un esempio su tutti che ci permette di tornare al Francescanesimo.

Nel medioevo in un mondo dove l’usura era dilagante ed i grandi banchieri comandavano sugli stati come i Medici di Firenze (come sono veri i corsi e ricorsi storici di Giovambattista Vico) i frati minori osservanti (Bernardino da Feltre e Michele Carcano) si inventano i monti di pietà allo scopo di erogare piccoli prestiti a condizioni vantaggiose.

I Monti di pietà, infatti, prestavano denaro solamente ai residenti o a chi abitava in alcune località nelle vicinanze espressamente indicate negli statuti I Monti concedevano prestiti anche alle magistrature cittadine e svolgevano funzioni di Tesoreria per gli enti assistenziali. Inoltre, la dotazione iniziale, il monte per l’appunto, non veniva mai intaccato in quanto rappresentava il presidio e la garanzia dei rischi di insolvenza e gli utili eventualmente conseguiti andavano ad assommarsi al Monte.

Le norme che regolarono definitivamente i Monti di Pietà furono dettate da papa Leone X il 4 maggio 1515 con la bolla Inter Multiplices prodotta nel Concilio Lateranense V. I Monti di pietà furono di fatto i primi esempi di banca locale agenti di sviluppo del territorio. I loro servizi, infatti, non si limitavano ai finanziamenti e alla raccolta, ma si estendevano al supporto di attività politiche e culturali, al sostegno delle attività religiose, all’assistenza ai poveri e ai malati.

Forse, ed i nostri lettori mi perdoneranno questa lieve considerazione polemica, gli odierni economisti dovrebbero rileggersi un po’ di storia medievale e troverebbero utili spunti per riconsiderare l’idea di un’economia di mercato capitalistico dove la ricerca del profitto e la solidarietà si coniugano e non si contrappongono.

Nel prossimo articolo parleremo di un argomento più pragmatico, cioè gli strumenti pubblici a supporto dell’investimento in beni strumentali delle PMI

Continuate a seguirci !

 

Per approfondire testi consigliati:

  • Caritas in Veritate Libreria editrice Vaticana
  • Come Salvare il Mercato dal Capitalismo (M. Amato, L. Fantacci) Donizzelli Editore
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