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Neorealismo e spiritualità

Terzo capitolo del romanzo “Vite artistiche”.
“Ladri di biciclette”(1948) di Vittorio De Sica.

Teofilo vagava per le vie della città e rifletteva sulla sua esistenza. Ogni strada, via, chiesa, palazzina era legata ad un suo ricordo. Mentre attraversava un tunnel vicino alla stazione Termini dentro di sé si domandava: “Da dove nasce il Cinema Neorealista?” Continuava ad attraversare la galleria sentendo l’odore del benzene e il freddo, il freddo pungente che gli entrava dentro ai reni procurandogli dei brividi dolorosi e fitti. Camminare dentro al tunnel era una sofferenza fisica e mentale. Nel sottopassaggio vi erano anche dei clochard che dormivano in cartoni che sembravano dei grossi sacchi a pelo. Dopo aver camminato a lungo vedeva da lontano la luce della strada che come un’aura luminosa rischiarava il suo volto. Una volta fuori dalla galleria aveva trovato la risposta alla sua domanda: “Il Cinema Neorealista nasce dalla povertà”. Dentro di lui i ricordi dei film neorealisti che aveva visto scorrevano come su di una grande pellicola oltre lo spazio e il tempo.

“Roma città aperta”(1945) di Roberto Rossellini

Pellicole neorealiste tra povertà, travaglio e spiritualità

La memoria è lo scrigno luminoso del sapere dal quale la spiritualità emerge creando valori. Gli anni dopo la Seconda Guerra Mondiale in Italia e nel mondo sono stati molto duri. La condizione di povertà era spaventosa. Spesso mancavano i beni di prima necessità e si viveva ai margini della società. Giovani e anziani erano abbandonati a sé stessi. In questo contesto nascevano i grandi autori neorealisti che erano  sceneggiatori come Cesare Zavattini e registi come Vittorio De Sica, Roberto Rossellini (Massimo esponente del movimento), Luchino Visconti, Giuseppe De Sanctis, Michelangelo Antonioni solo per citarne alcuni. Tanti erano gli aspetti crudi della realtà che rappresentavano: La brutalità della guerra e l’eroismo dei partigiani in “Roma città aperta”(1945) e “Paisà”(1946)  di Roberto Rossellini, il dramma della miseria e della disoccupazione in “Ladri di biciclette”(1948) di Vittorio De Sica e di una povertà vissuta nella vecchiaia “Umberto D” (1952) dello stesso regista. Una caratteristica importante del Cinema Neorealista era quella dell’amalgama degli attori. Assieme ad attori presi dalla strada recitavano anche professionisti come Anna Magnani e Aldo Fabrizi. I film venivano prodotti a basso costo e con povertà di mezzi. Le pellicole venivano girate spesso in set di fortuna improvvisati all’aperto. Roberto Rossellini era nemico dei moderni studios perché massacravano la creatività. Secondo il regista un grande cinema può nascere solo con l’uso di pochi mezzi. È il contesto precario del set che sviluppa nella coscienza dell’autore la forza di creare con coraggio e spiritualità. Cesare Zavattini (Luzzara, 1902) è stato una delle personalità più importanti del Neorealismo italiano. Le sue sceneggiature sono dense di spiritualità e sentimento. Per esempio in “Ladri di biciclette” il frammento del reale entra nell’anima dello spettatore sensibilizzandolo all’amore e al rispetto dei più poveri. Nella scena in cui Bruno e il padre entrano nell’osteria possiamo notare come sia lo sceneggiatore che il regista lavorino per veicolare il messaggio di fratellanza umana. Mentre Bruno mangiava la mozzarella in carrozza che avevano ordinato il bambino ricco che era seduto al tavolo accanto al suo lo guardava con superiorità e sufficienza soddisfatto della tavola imbandita che aveva davanti a sé. Bruno aveva risposto a quello sguardo di disprezzo  mangiando la mozzarella in carrozza tirandola con i denti attraverso un gesto molto tenero. Un gesto che vuole sensibilizzare la coscienza dello spettatore e farci capire che siamo tutti uguali ed è la tenerezza dell’amore che ci accomuna indipendentemente dal ceto sociale. Nel film si evidenzia molto la situazione di povertà delle persone spesso costrette a rubare per vivere. Il volto sofferente e precario di Lamberto Maggiorani che interpreta il padre di Bruno rappresenta l’immagine  di un popolo macellato dalla guerra. Nello sguardo tenero del figlio Bruno rimane una luce di speranza  verso la creazione di una nuova società più solidale, più umana. “Roma città aperta” di Roberto Rossellini racconta le storie di diversi personaggi sullo sfondo di una Roma dominata e martoriata dai nazisti. Anna Magnani interpreta magistralmente Pina una donna del popolo moglie di un militante della Resistenza.  Una donna coraggiosa che purtroppo perirà uccisa dai colpi del grande mostro nazista. La pellicola narra l’eroica lotta dei partigiani che combattevano con pochi mezzi  contro il ben organizzato e temibile esercito tedesco. L’ingegnere Manfredi sarà atrocemente torturato e don Pietro (grandiosa interpretazione di Aldo Fabrizi riferita alla figura di Don Luigi Morosini) verrà ucciso davanti ai suoi giovani parrocchiani. Una scena molto commovente che evidenzia l’immenso coraggio del parroco e della sua fede che non crollerà mai neanche sotto i colpi mortali del nazismo. La macchina da presa lascia allo spettatore un bagliore di luce e di speranza quando inquadra la Basilica di San Pietro. La cinepresa di Roberto Rossellini sorvola le macerie della città e rappresenta le storie drammatiche delle persone che vivono ai margini di esse. In “Paisà” per esempio la vita della gente comune si intreccia con quella dei partigiani e dei soldati americani che lottano spalla contro spalla per sconfiggere il terribile nemico nazista. “Miracolo a Milano”(1951) di Vittorio De Sica è un film adattamento del romanzo di Cesare Zavattini “Totò il buono”. Collaborano alla sceneggiatura anche lo stesso Zavattini, Suso Cecchi d’Amico, Mario Chiari, Adolfo Franci. Il personaggio principale della pellicola è Totò (interpretato da Francesco Golisano) ragazzo dal cuore d’oro e di grande umanità sempre altruista e pronto ad aiutare chi è in difficoltà. La madre di Totò Lolotta (interpretata da Emma Gramatica) aveva educato e cresciuto il figlio con molto amore. Era la fonte di saggezza e di spiritualità che aveva alimentato il suo cuore. A seguito della morte della madre Totò andò a vivere in un riformatorio e successivamente in una zona periferica desolata in mezzo ai clochard. Un giorno i vagabondi riuscirono a trovare il petrolio. Barnabò che aveva in possesso la zona, una volta arrivato a conoscenza del fatto mandò i poliziotti per mandare via la povera gente. Totò grazie allo forza del suo spirito umanitario e soprattutto all’aiuto dell’anima della madre riuscirà a portare il popolo alla vittoria. Scappare in un altro mondo più vivibile e più giusto dove tutti sono liberi. Roberto Rossellini Vittorio De Sica e Cesare Zavattini rappresentavano sulla pellicola il precariato della condizione umana attraverso scene dense di una forte spiritualità e drammaticità (il figlio Bruno in lacrime davanti al padre che era stato appena malmenato per aver rubato la bicicletta in “Ladri di biciclette”, la scena della fucilazione di Don Pietro in “Roma città aperta”,  l’anziano che sta per buttarsi sotto al treno e che poi viene salvato dal suo cane in “Umberto D”). “Umberto D” (1952) racconta la storia dell’anziano Umberto Domenico Ferrari che viveva in condizioni misere (lo Stato gli dava una pensione molto molto magra che non bastava né per il suo sostentamento e nemmeno per il suo cane). Nel corso del tempo accumulava sempre più debiti verso l’affittuaria che lo trattava molto duramente e non lo voleva aiutare. Preso dalla disperazione provava a chiedere l’elemosina ma una grande vergogna e inutilità lo trascinavano sempre più nel fondo di un baratro infinito. Alla fine decise di uccidersi saltando sotto a un treno ma il cane attraverso una mossa fulminea corse via e lo costrinse ad inseguirlo. Il personaggio di Umberto D viene rappresentato dal regista e dallo sceneggiatore come un essere precario e indistinto disperso ai margini della metropoli. Lo stato e la  società tendono a emarginare chi è più vecchio e più povero. La lettera D è un simbolo e rappresenta anche la depressione e la solitudine. Vittorio De Sica e Cesare Zavattini vogliono farci capire che gli anziani sono importanti e bisogna inserirli nel contesto sociale perché possono ancora produrre e trasmettere tanta saggezza alle nuove generazioni. Bisogna abbattere la grande coltre di indifferenza che li opprime per creare una cooperazione sinergica tra vecchie e nuove generazioni nel mondo della cultura e del lavoro. Una cooperazione all’insegna del rispetto reciproco e di spiritualità per raggiungere nuove mete. Per far capire meglio al lettore lo stile letterario neorealista di Cesare Zavattini riporto l’inizio del soggetto originale dal quale è stato realizzato il film: “Che cos’è un vecchio? I vecchi puzzano, disse una volta un ragazzo. Io temo che sui vecchi non la pensino diversamente molti che questa frase crudele non hanno mai detto. Esagero? Io voglio raccontarvi la storia di un vecchio e mi auguro alla fine che non direte che l’ho inventata. Si chiama Umberto D., ha sessant’anni e una faccia sorridente perché ama la vita, l’ama tanto che protesta con tutte le forze contro il Governo che non vuole aumentare la sua magra pensione. Non meravigliatevi quindi se lo vediamo a un ordinato corteo di vecchi che attraversano la città con dei cartelli sui quali è scritto “Vogliamo soltanto il necessario per vivere”. Ma le guardie hanno avuto l’ordine di proibire ai dimostranti di proseguire e i dimostranti cercano allora di forzare il cordone. Ne nasce un parapiglia. Niente di grave, per fortuna. Il nostro Umberto con le sue gambe un po’ arrugginite fugge per una via traversa; quasi pentito, certamente meravigliato, di avere osato tanto. A un angolo della strada incontra altri vecchi che corrono, e con loro si rifugia in un portone. Tenteranno un’altra volta, dicono. La speranza li sorregge. Hanno lavorato trent’anni, quarant’anni fedeli allo Stato, curvando la schiena per il miraggio di una vecchiaia tranquilla. La loro vecchiaia invece è piena di umiliazioni. (Zavattini, 1953, 21)

“I Giorni contati”.

Nel 1962 Elio Petri realizzò il film “I Giorni contati”. La pellicola (collaborano alla sceneggiatura anche Carlo Romano e Tonino Guerra) narra gli ultimi giorni di vita  di un vecchio stagnino di nome Cesare (interpretato straordinariamente da Salvo Randone). Un personaggio molto simile a quello di “Umberto D”. Un uomo ai margini della strada che si interroga sul senso della vita e lo scorrere del tempo. Una vita passata a lavorare duramente senza nessun riconoscimento da parte dello Stato e della società. La metropoli inghiotte il povero vecchio in un vortice di indifferenza e di violenza. Un uomo di paese che non riesce a seguire i ritmi di una Roma diventata più caotica e disumana. Anche attraversare una strada e seguire le istruzioni di un semaforo sono ardue imprese. Si ritrova catapultato in un mondo ormai cambiato dominato dall’incomunicabilità e dalla corruzione. I primi piani di Salvo Randone che rappresentano il suo viso triste e sofferente ci riportano alle condizioni misere di Lamberto Maggiorani in “Ladri di biciclette”. Cesare divorato dalla nostalgia dei bei tempi scava continuamente nel suo passato per ritrovare la gioia di quelle epoche e riportarle alla luce per confortare il suo cuore. La visione dell’amico morto sul tram lo porta a riflettere sulla minaccia incombente della morte e a valorizzare di più la vita.

Dopo aver meditato sul Neorealismo Teofilo vide davanti a sé il viso di un clochard che sorrideva. Uno sguardo denso di spiritualità che illuminava il suo cuore. Dentro di loro era viva la speranza di vivere in un mondo più giusto e più umano.

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