Alisa Bystrova , artista tout court, si è specializzata nella restaurazione di opere religiose. Questa è la sua vocazione naturale che svolge come una vera e propria missione: restaurare significa rinsaldare un rapporto spirituale tra il presente ed il passato che magari è offuscato dall’incedere del tempo. La sua opera altamente meritoria è sospinta da una grande fede in Dio. Rilascia un’intervista esclusiva per Tota Pulchra.

Salve Signora Bystrova.  Ricordo di lei il suo ruolo nel cinema….o Sbaglio?

E’ stato il puro caso. Viaggiavo in treno per Milano, e fui notata da un regista che cercava attori per il suo prossimo film. Da allora avrò girato forse poco meno di una decina tra film e puntate tv, personaggi di secondo piano… dopo un po’ capii che non mi piace essere osservata, ne’ tanto più essere strumento per un altrui espressione; lo trovo addirittura strano. Lo dico con estrema pacatezza; è stata un’esperienza importante che mi ha permesso di capire molte cose. Diciamo che non é il mio fuoco sacro quello. Infatti, ho lavorato con attori famosi, ma non ho mantenuto alcun rapporto con quel mondo. Anzi, la parte migliore di quella esperienza è stata ritirare la paga e rintanarsi a casa per disegnare. Sono cresciuta con una matita in mano. Da piccola, per tenermi impegnata, mi mettevano in mano un album e colori.

Oltre al suo passato lei è un artista tout court, il restauro è una delle sue passioni?             

Forse grazie proprio a quella esperienza ho capito quello che devo fare. Cosi mi rimisi a studiare e ho preso l’abilitazione all’esercizio di restauro dei beni culturali, e prendo il mio lavoro terribilmente sul serio. E’ una specie di missione; restaurare significa decifrare, conservare, trasmettere; e’ un tributo alle generazioni passate e un incontro con il futuro. Mi permette di incontrare persone davvero speciali, e anche, perché no, girando per Roma, passare nei luoghi dove ho lavorato e trovare i miei “pazienti” di marmo, intonaco e olio su tela – lavoro con dipinti e superficie decorate dell’architettura. Spesso faccio le decorazioni.

Questo e’ il motivo per cui ho scelto di occuparmi di restauro. Sono convinta che estetica anestetizza, quindi toglie il dolore e in definitiva protegge e aiuta ad attraversare momenti difficili, permette di volgere lo sguardo oltre delle cose pratiche e terrene. Restauro per me e’ un impegno profondo, volto a conservare e trasmettere, a volte decifrare, sostanzialmente, l’appartenenza e identità. Soprattutto questa cosa e’ importante nel discorso del restauro di opere religiose, già in origine progettate a fornirci una nostra identità migliore. E’ di fatto un atto di fede e manifestazione dell’appartenenza culturale.

I Suoi dipinti invece, rappresentano un’arte di denuncia, soprattutto della guerra.  Vuole trasmettere questo tramite le sue raffigurazioni?

La mia infanzia più bella l ho passata con i nonni materni. Il nonno era un pilota di cacciabombardieri durante la Seconda Guerra; mia nonna era medico. Paradosso. Loro mi hanno insegnato che la vita é il valore più importante, che la vita può essere anche un impegno faticoso, fragile, tosto da mandare avanti. Che si può e si deve rimanere in vita per gli altri; ciò non significa necessariamente il servizio quotidiano, significa vivere per trasmettere l’esperienza, appartenenza, contemplare se stessi come una parte di società; che talvolta bisogna impegnarsi per renderla più bella.

Non credo molto nell’arte di denuncia; in definitiva, anche i carnefici sono vittime. E’ piuttosto una sintesi, una fotografia surreale dei nostri tempi, dove siamo appunto anestetizzati dai modelli estetici spesso irrealizzabili naturalmente ma privi di contenuti di appartenenza. Non sto inventando niente di nuovo, cerco molto semplicemente di raccontare la cronaca. Ci vuole molto più coraggio di riconoscere la realtà ed accettarla, perché è un atto di responsabilità. Denunciare puo anche significare attribuire la responsabilità a qualcun altro. Voglio narrare, designando. In fondo, con carta e matita si possono fare solo due cose: scrivere o disegnare. Disegno (o immagine in generale) è più immediato ed efficace dal punto di vista comunicativo. In questo caso è il mio modo di prendere la responsabilità nei confronti della guerra. Ritengo che nei conflitti bellici sono responsabili tutte le parti, a qualsiasi titolo coinvolte. Il meestiere d’armi e’ un mestiere corale.

Ha intenzione di unire le forze con altri artisti per magari, chissà, un giorno partecipare ad una mostra per la pace?

Senz’altro. Credo molto nella condivisione delle esperienze.

Lei sta rilasciando questa intervista per un’ associazione di ispirazione cattolica. Quando è importante la fede per lei?

La fede e’ un dono fondamentale. Non è una cosa da tutti. Personalmente, lavoro molto per averlo. Non e’ facile; ma tant’è

Ho percepito questo tanti anni fa, in un singolo momento. Fu come un’illuminazione: ero a Bologna per girare una puntata di Ispettore Coliandro con i Manetti Bros, e nel tempo libero cono andata a visitare la Fiera del Libro. Comprai una monografia su Max Ernst e passeggiando, entrai nella Basilica di San Petronio. Vidi gli affreschi della Cappella dei Re Maggi. Fui letteralmente sopraffatta e capi all’istante due cose: gli immagini possono trasmettere realtà non altrimenti visibile o narrabile a parole (vedi dadaismo), e possono raccontare le paure ed emozioni (vedi gli affreschi), tutte le realtà dello spirito quindi. Il mio sogno più grande sarebbe dipingere le chiese; è come raccontare le storie di spirito. E’ un atto di fede.

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