L’arte contemporanea tra spiritualità e conoscenza (Parte 1)
Un viaggio alla scoperta delle varie forme d’arte contemporanea dal cinema ai musei, dalla street art e la video arte alla fotografia.
Un viaggio alla scoperta delle varie forme d’arte contemporanea dal cinema ai musei, dalla street art e la video arte alla fotografia.
L’arte contemporanea si esprime in varie forme, dalle opere pittoriche custodite nei musei, al cinema, ma anche alla street art, video arte e fotografia.
I film ad esempio sono come delle entità fluttuanti e nomadi che si scontrano fra loro frammentandosi, disintegrandosi lasciando delle polveri, dei frammenti. La pellicola si polverizza e da questa distruzione rinasce un nuovo video sensoriale che porta lo spettatore verso la spiritualità e la conoscenza.
L’arte contemporanea si trasforma in un collante sociale, in una forza che genera energia e che spinge l’umanità a cooperare. Possiamo considerare svariati film cinematografici come opere significative della storia del cinema che hanno portato l’uomo verso un cammino etico e ricco di spiritualità.
I film, le opere d’arte contemporanea o antica, le video installazioni dei musei accompagnano lo spettatore in un percorso di crescita spirituale. Vi porterò a scoprire il magico mondo dell’arte e del cinema in un itinerario fascinoso, cominciamo questo percorso dalla sala cinematografica. In viaggio alla scoperta di un grande museo sensoriale dove troverete film e opere di ogni genere per conoscere nuovi percorsi spirituali e culturali.. Buona lettura!
Tra i registi italiani più importanti ricordiamo Valerio Zurlini (Bologna, 1926), un autore filosofo che firma molti capolavori. In “Racconto del quartiere” (1950) rappresenta la condizione delle periferie romane, con particolare sensibilità per questa umanità disagiata.
In altre pellicole come “Il mercato delle facce” (1952), “Pugilatori”(1952), “La stazione” (1952), “Serenata da un soldo” (1953) rappresenta la vita di uomini miseri. Nel 1954 gira le “Ragazze di San Frediano”, adattamento cinematografico del romanzo di Vasco Pratolini che narra le peripezie di un giovane dongiovanni.
“La prima notte di quiete” (1972) è uno dei film più belli del regista in cui riflette sull’arte contemporanea. Il film è sceneggiato con Enrico Medioli e bellissima è l’interpretazione di Alain Delon che incarna la figura dell’eroe nella torbida periferia riminese. Il protagonista si batte con tutto il suo cuore per riuscire a cambiare quel mondo corrotto e viziato.
La scena nella quale Dominici (Delon) porta Vanina a vedere la Madonna del Parto di Monterchi, è densa di spiritualità. Zurlini ci fa scoprire in questa pellicola anche il capolavoro di Piero Della Francesca, portandolo al centro dello spazio diegetico. Il protagonista di fronte al dipinto si immerge in uno stato di pura contemplazione e preghiera.
Inoltre, il regista fa contemplare allo spettatore il “paesaggio” sublime della Madonna del Parto e le rovine della Querciaia. Quindi, da una parte rappresenta la temporalità immota dell’Eternità e dall’altra la temporalità istantanea della Contingenza, nel mezzo vi è la relatività della Vita.
Luchino Visconti (Milano, 1906), è stato un grande regista che usava la macchina da presa come se fosse un pittore. Dipingeva grandi affreschi di arte moderna, ricchi di spiritualità, quadri di diverso genere che rappresentavano svariati aspetti del nostro paese.
Nel “Gattopardo” (1963), tratto dal romanzo di Giuseppe Tomasi Di Lampedusa, il regista dipinge sulla pellicola il declino della famiglia Salina. Un affresco dell’Italia dell’800 e della Sicilia Borbonica, interpretato da un cast d’eccezione Burt Lancaster, Claudia Cardinale e Alain Delon.
Un’altra pellicola ispirata ad un’opera letteraria è “La terra trema” (1948), rappresentazione del romanzo verista di Giovanni Verga “I Malavolglia”. Visconti illustra la vita dei pescatori siciliani, con i loro dolori, sacrifici e voglia di riscattarsi dallo sfruttamento dei padroni grossisti di pesce.
Ntoni, il protagonista, pur di sottrarsi al giogo dei padroni mette un’ipoteca sulla casa e si compra una barca. Inizialmente tutto va a gonfie vele, con un periodo di pesca molto prolifico, poi purtroppo una grande burrasca distrugge la barca. La sua voglia di essere libero finisce e torna a lavorare sotto padrone conservando però la sua volontà di riscattarsi, la sua speranza.
Nel romanzo di Verga la figura del protagonista Ntoni è più pessimista, senza speranza e dopo la morte della madre abbandona la sua terra. Nell’opera d’arte contemporanea di Visconti invece, il pescatore ha un’aura di speranza, di positività e non si lascia abbattere da un destino d’infelicità.
Il vinto verghiano rimane e continua a lavorare per i padroni senza rinunciare alla speranza che un giorno tutto sarà migliore. Il regista invita l’umanità ad essere più unita, a lavorare insieme con forza di volontà per costruire una società più umana, più giusta.
Dalla sala cinematografica passiamo dentro allo spazio museale per analizzare le opere d’arte contemporanea di Daniele Lombardi (Firenze, 1946). Le sue opere sono sinfonie di musicalità e cromaticità, ammirandole sembra d’essere immersi in un bagno di emozioni e sensazioni sonore e visive. Il pentagramma si trasforma in un tripudio di forme geometriche che la musica unisce in armonia.
La musica classica scolpisce sulla tela ritratti e paesaggi, una musica ricca di spiritualità che ci eleva a Dio e alle meraviglie della natura. Le opere d’arte contemporanea si sviluppano in un teatro metamusicale in cui musica, artista e pubblico sono i veri protagonisti.
Nell’opera “Concerto per 21 pianoforti” (Firenze, 1987), foto su legno, si ascolta una musica di forme sonore in movimento che creano una sinfonia totale. La melodia sembra fuoriuscire da qualsiasi forma di spazio per colpire il cuore dello spettatore.
In “13 variazioni su rosso”, sono i colori a dinamizzare la partitura animandola e movimentandola tra colore, musica e multisensorialità.
Lombardi rappresenta anche importanti opere letterarie e le reinterpreta come la Divina Commedia di Dante che si trasforma in “Divina.com” (2004-2015). Il testo letterario diventa nell’arte contemporanea una pittura melodiosa che porta lo spettatore dentro la storia di Firenze, un affresco sonoro denso di magia.
Lo spazio museale è un ambiente multiforme nel quale ogni artista crea in un continuo work in progress. Attraversando le sale del museo, vediamo la pittura muoversi in libertà alla conquista di ogni spazio interno. La street art invece ci guida alla conquista degli spazi espositivi esterni, non è solo fruibile in luoghi predeterminati come musei o gallerie d’arte.
Queste opere d’arte contemporanea con l’energia dei graffiti e dei murales ci colpisce con scosse emotive che ci rendono più attivi e positivi. Il messaggio degli artisti di strada è palese: l’arte è qui, è viva, non scoraggiatevi venite a prenderla! Il muro avvolge lo spettatore in un’esperienza fisico-sensoriale, lo guida in un percorso di comprensione per lottare e credere nell’arte anche in zone disagiate.
La street art si contamina con forme d’arte vecchie e nuove: forma, segno e spazio ci portano verso nuovi orizzonti conoscitivi, nuovi approdi culturali. Un collage culturale che attinge dal surrealismo, l’espressionismo, il futurismo, la fotografia, il design, la body art, il teatro, il cinema.
Nel 2000 il linguaggio della street art, forma d’arte contemporanea ormai codificata, migra dagli spazi urbani ai musei. Tra gli artisti che hanno lavorato di più per favorire questa migrazione ricordiamo: Keith Haring, WKinteract, Mirko Reisser, Evol, Frank Shepard, Fairey, Diamond. Con le loro opere giganti emozionano la gente e fanno sentire l’arte di nuovo vicina al grande pubblico.
Tra gli street artists, Agostino Iacurci (Foggia, 1986), crea opere colorate e dinamiche e rivisita la pittura surrealista in modo personale e originale.
Vladimir Milivojevich (Serbia, 1969), artista della fotografia di strada, con i suoi scatti ci colpisce al cuore per l’intensità drammatica delle immagini. Le sue opere illuminano in modo commovente personaggi che vivono ai margini della strada come clochard e gruppi di malfamati.
Camille Rose Garcia (Stati Uniti, 1970) crea delle opere che intrecciano pop art, arte surrealista e gotica. Scava nei più profondi meandri del suo passato per svelarci il mondo della sua infanzia, dolorosamente segnato dalla dipendenza dalla droga.
In questo viaggio nell’arte contemporanea, lasciamo lentamente il suggestivo mondo della street art e cominciamo ad addentrarci nei misteriosi meandri della video arte. Scopriamo un nuovo tipo di schermo più libero, più creativo, più etico e spirituale ma soprattutto fruibile da un ampio pubblico.
Di seguito ricordiamo alcune delle opere più significative di video artisti italiani, negli anni 60 e 70. Mario Carbone (San Sosti, Cosenza, 1924) nell’opera “Inquietudine” (1960), il suo primo cortometraggio, fonde insieme fotografia e cinema.
Ugo Nespolo (1941), nel film-cortometraggio “Buongiorno Michelangelo” (1968), fa girare l’artista Michelangelo Pistoletto per le strade della città di Torino. Michelangelo gira sulla sua automobile e lancia un grosso pallone gigante ricoperto di ritagli di carta di giornale per le vie della città. Il fine dell’artista è quello di portare l’arte tra la gente, in modo da renderla un’esperienza collettiva.
Nel 1975, il Gruppo 70 composto da Antonio Bueno, Lucia Marcucci, Eugenio Miccini, Lamberto Pignotti gira un film intitolato “Volerà nel 70”. Gli artisti di questa forma d’arte contemporanea realizzano una contaminazione tra la parola poetica e l’immagine cinematografica.
Gianni Pettena (Bolzano 1940), con il corto The Pig “Carosello Italiano”, 1967-68, porta sullo schermo un giudizio ideologico sulla violenza di potere e consumismo. Attraverso un montaggio veloce e ritmato, propone immagini alternate dei massacri della guerra in Vietnam e di persone intente a comprare. L’artista denuncia in questa opera di video arte l’uso indiscriminato del potere e la violenza della società dei consumi. Inoltre, è un’opera esemplare per l’utilizzo della tecnica del videotape, caratteristica distintiva degli anni 70.
Infine, per concludere questa carrellata di artisti italiani, ricordiamo Michele Sambin (Padova, 1961), che nel suo filmato ipnotico, descrive la tirannia del tempo.
La nostra macchina da presa fa un salto indietro nel passato e un viaggio spaziale che ci porta in Giappone. Esprimersi attraverso l’arte contemporanea significa seguire degli schemi ma anche tentare di vedere al di là di essi e superarli. Andare oltre le regole, oltre i canoni è importante per esprimere al meglio la creatività e realizzare opere ricche di spiritualità.
Yasujiro Ozu (1903), è uno dei più grandi registi del Giappone e del mondo, con pochi mezzi riusciva ad arrivare al cuore delle cose. Rappresentava il tutto attraverso il poco con una grande forza poetica. La libertà creativa, l’estetica cinematografica vanno oltre la macchina da presa, oltre la grammatica del cinema.
In un’intervista il cineasta descrive la sua opinione a proposito della grammatica del cinema: “Quando giro un film, non penso alle regole del cinema. Come un romanziere, quando scrive, non pensa alla grammatica, esiste la sensibilità non la grammatica” per creare un’opera d’arte contemporanea. I giovani che cominciavano a lavorare per una casa di produzione cinematografica spesso finiscono con il rovinare la loro sensibilità cinematografica.
Per seguire in modo ossessivo e pedissequo le regole della messa in scena, compromettono l’espressività emotiva e non riescono a trasmettere un vero messaggio. Nella realizzazione dei film conta la sensibilità espressiva dell’autore, non solo la grammatica, altrimenti si finisce con il ripetere scene viste e riviste. Una scena stilisticamente non perfetta può essere molto più efficace e toccare più profondamente le facoltà percettive dello spettatore.
Ozu rimase molto segnato dalle dure esperienze della guerra sino-giapponese nella quale aveva combattuto dal 1937 al 1939. Gli orrori che vide sul campo di battaglia influenzarono anche la sua produzione cinematografica e il contenuto delle sue opere d’arte contemporanea.
Il regista nelle sue storie voleva ricercare la qualità del rapporto tra le persone, l’armonia nelle relazioni umane. Gli attori con i quali lavorava dovevano avere delle buone qualità, dovevano essere delle persone con le quali era stimolato a lavorare. Nelle scene dei film la vita si materializza senza l’uso di avvenimenti particolari, la percepiamo nella sua lenta trasformazione.
Yasujiro Ozu esordisce con un jidai-geki, “La spada della penitenza”, (1927) che non ottiene un grande successo. Il jidai-geki era un film d’epoca o di costume spesso ambientato nell’epoca Edo (1603-1868) e i protagonisti erano samurai che combattevano per svariati ideali. Queste prime pellicole erano molto influenzate dalla recitazione del teatro Kabuki, un tipo di rappresentazione nata nel 17° secolo.
Il regista prova poi a girare commedie e film studenteschi come “Giorni di gioventù” (1929), incentrata sulla tematica dello sci.
Nel corso degli anni 30 e 40 l’estetica dei film di Ozu si evolve diventando più matura, come in “Viaggio a Tokyo” del 1953. Il regista in queste opere d’arte contemporanea dipingeva attraverso delicate pennellate di movimenti della macchina da presa, la disgregazione del sistema familiare in Giappone. Ozu desiderava descrivere l’evoluzione dei rapporti fra genitori e figli nel corso del tempo, dovuto al cambiamento culturale.
In “Inizio di primavera” (1956), racconta la triste vita degli operai, categoria alienata da una quotidianità spoglia di stimoli culturali. Le poche scene drammatiche venivano alternate con molte scene ordinarie per far capire allo spettatore quanto fosse misera e ripetitiva la loro vita.
Dal Giappone di metà anni 90, la cinepresa come una macchina del tempo ci riporta ai nostri giorni, nel marzo del 2020. Ritorna nelle sale cinematografiche la pellicola del regista italiano Simone Manetti, che racconta la vita di Giuseppina Pasqualina Di Marineo. Giuseppina in arte Pippa Bacca è la nipote di Piero Manzoni, illustre esponente dell’arte contemporanea.
Il regista Manetti filma e racconta le testimonianze dei familiari di Pippa e della sua grande amica Silvia Moro, fedele compagna di viaggio. Giuseppina Pasqualina Di Marineo è una donna coraggiosa, innamorata della libertà e della pace e il suo passato riemerge attraverso video, fotografie, materiali. Attraverso la sua arte voleva unire i diversi popoli della terra e lottare contro le violenze della guerra.
L’8 marzo del 2008, decide di cominciare il suo grande viaggio attraverso le nazioni più dilaniate dalle guerre, dall’Europa all’Africa. Parte insieme all’amica Silvia con una telecamera e va da una città all’altra in autostop, vestita da sposa. Simbolico è l’abito per spiegare il suo obiettivo di unire tutte le genti del mondo, celebrando un matrimonio di pace. L’arte serve a creare dei ponti di pace tra le persone, per portare un messaggio ricco di spiritualità e libertà.
Purtroppo, il grande impegno sociale e civile di questa donna coraggiosa finisce in modo ingiusto, con un tragico evento. Giuseppina viene violentata e uccisa a Gezbe, in Turchia, nei pressi della città di Istanbul. La pellicola di Simone Manetti vuole far rivivere la saggezza e la tenacia di questa eroina dell’arte contemporanea che amava l’umanità, fino alla morte.