Buongiorno Professor Tarro, il suo curriculum vitae parla da sé. Primario di virologia presso il Cotugno di Napoli per più di venti anni, varie lauree honoris causa, e molti titoli accademici. Cosa la spinge, dopo tutti questi anni, a continuare la ricerca?

L’uomo (Ulisse) nel suo eterno peregrinare nella ricerca del sapere, nello svelare i misteri reconditi dell’universo, ha messo in risalto la cultura come l’attributo fondamentale per una vera democrazia e per una reale libertà. Lo stesso Albert Sabin ha parlato di progresso della scienza con scoperte non fine a se stesse, ma con obiettivo il valore sociale della ricerca stessa: nella liberazione della umanità sofferente dalle catene delle malattie si deve dare importanza al valore sociale della ricerca e non ovviamente allo studio del sesso degli angeli: “approfondire i misteri dell’universo, ma soprattutto lenire la miseria della gente sulla terra”.

La vita è un concetto intuitivo, prima di definirla è necessario definire gli organismi viventi con tutti i loro caratteri essenziali che permettono il raggiungimento della verità. Partiamo con la curiosità di conoscere, quindi di manipolare la vita come mai prima di oggi con immense responsabilità per futuri gravidi di scenari radiosi, ma anche di catastrofi. Il desiderio di conoscere come nella mitologia di Esiodo con Zeus, Prometeo, Pandora ha portato Bacone a sostenere che “scientia est potentia”. È imperativo ridurre la distanza tra la ricerca e chi dovrà subirne le conseguenze, bisogna aprire alla gente i laboratori di ricerca e le torri d’avorio del sapere per potere tutti insieme decidere cosa fare e a quale prezzo. Il nuovo termine di bioetica coniato da von Potter nel 1970 con il suo libro “Bridge to the future”, scritto da lui oncologo portato all’accanimento terapeutico della chemioterapia, deve essere inteso come patrimonio di conoscenza e dibattito per tutti noi: dalla nascita alla procreazione assistita, dall’aborto alla vita, dal testamento biologico all’eutanasia, dalla clonazione ai trapianti ed alle cellule staminali, dalla biotecnologia all’ingegneria genetica.

Infine siamo di fronte ad una nuova rivoluzione copernicana: primo uscire fuori dal proprio particolare -interessi economici, ideologie radicate – a favore degli interessi primari delle comunità nazionali ed internazionali. Secondo obiettivi della ricerca scientifica sono le scelte di priorità a favore delle categorie ed i popoli più indifesi, compresi soprattutto i pazienti ed i poveri, che rappresentano la maggioranza di questo mondo senza uguaglianza.

Il suo nome è salito alla ribalta sulla questione del vaccino sul Covid -19. Ci può spiegare le sue posizioni al riguardo?

La verità sulla SARS, perché il virus si diffonde, l’insabbiamento della Cina, quanto dovremmo essere spaventati e altri dettagli sono riportati in sintesi da Tarro (Tarro G. Environment and Virus Interactions: Towards a Systematic Therapy of SARS-CoV-2. British Journal of Healthcare and Medical Research, 9(4). 253-260, August 25, 2022). Lo scopo principale del lavoro è confrontare le precedenti epidemie di coronavirus con quella verificatasi dal 2019 e riportare le principali prevenzioni e terapie sull’attuale problema che si avvicina finalmente alla fine.

Vorrei ricordare l’intervento editoriale di Peter Dochy, professore universitario nel Maryland che il 4 gennaio del 2021 ha pubblicato sul British Medical Journal, una sorta di versione alternativa a come i vaccini erano stati presentati dalle case farmaceutiche, dai governi e dalla maggior parte dei media, riportato anche dal New York Times. I vaccini erano stati approvati per la messa sul mercato perché almeno il 50% delle prove era a favore della loro efficacia. Infatti i vaccini che abbiamo ricevuti non sono ancora approvati e la loro sperimentazione clinica sarà terminata solo il 31 dicembre 2023.

Inoltre mentre Pfizer e Moderna annunciavano un 90% di efficacia contro la trasmissione lui ne riscontrava circa dal 19 al 29% di efficacia contro il contagio da persona a persona. Dunque molto al di sotto delle soglie di approvazione di un vaccino e anche di un vaccino di emergenza.

Ho già citato (Tarro, G. Pros and Cons of COVID-19 Vaccines. British Journal of Healthcare and Medical Research, Vol – 10(1). 174-179, February 25, 2023) che secondo i dati dei centri per il controllo e la prevenzione delle malattie (CDC) vi sono centinaia di migliaia di americani che hanno richiesto cure mediche dopo la vaccinazione per COVID-19. La Food and Drug Administration (FDA) ha comunicato il 20-10-2022 di 76.789 morti ed oltre 6 milioni di reazioni avverse gravi. Infatti secondo il sito americano del VAERS (vaccine adverse event reporting system) si legge come dall’estrapolazione dei dati emerge che i preparati vaccinali COVID-19 rappresentano il 51% di tutte le segnalazione di decesso in 30 anni di esistenza del database; valori ricavati dopo solo nove mesi dal loro utilizzo nella popolazione.

Un vaccino a RNA messaggero può alterare il DNA cellulare trascrivendo le sequenze virali integrate nel genoma mediante una “trascrittasi inversa” delle cellule o una trascrittasi inversa di un HIV e queste sequenze di DNA possono essere integrate nel genoma cellulare e la loro espressione è stata indotta con una infezione da COVID-19, suggerendo un meccanismo molecolare per una retro-integrazione di COVID-19 nei pazienti. Gli autori di Boston (USA) hanno spiegato sulla base di questa azione perchè alcune persone erano sempre positive anche dopo tre o quattro settimane (long COVID).

Nel New England Journal Medicine del 20 ottobre 2022 la seconda dose di vaccino per il SARS-CoV-2 facilita le miocarditi: l’evidenza per danno cardiaco ed infiammazione del miocardio è stata fornita da Cristina Basso docente di patologia cardiovascolare all’università di Padova.

Nel New England Journal Medicine del 13-10-2022 viene riportata una importante osservazione fatta in Argentina da R. Herrera-Comoglio della National University di Cordoba e da S. Lane dell’Istituto di Farmacovigilanza delle Scienze di Southampton (Regno Unito) che hanno studiato la trombocitopenia e la trombosi immune virus indotta (Vitt) dopo la somministrazione del vaccino Sputnik V (come si sa con somministrazione di virus vettore adenovirus 26 e richiamo dopo 21 giorni con adenovirus 5). Altri studi sono stati fatti da AstraZeneca (Oxford), da Johnson e Johnson (Janssen, USA) e da Consino Biologics, Beijing, dimostrando la Vitt in 0,1 casi su un milione di soggetti per lo Sputnik (circa 20 milioni di vaccinati), mentre l’incidenza è di 0,37 casi per un milione di vaccinati con altri vettori virali.

Come riporta anche il Dottor Robert Malone, inventore della tecnologia ad mRNA, l’incidenza di malattie e lesioni dal 2020 al 2021 ha riportato dati drammatici: infarti miocarditici acuti +343%, tumori neuroendocrini +276%, neoplasie maligne organi digestivi +477%, neoplasie cancro al seno 469%, sindrome Guillian-Barrè +520%, mielite trasversa acuta +494%, rabdomiolisi +672%, sclerosi multipla +614%, ipertensione +2130%, malattie del sangue +204%, infarti cerebrali +294% ”.

Dopo l’epidemia cinese di Wuhan e la pandemia che ne è seguita a livello globale, finalmente la diffusione del coronavirus CoV-SARS-2 è giunto al termine. Già dichiarata la fine nel Regno Unito il 19 luglio 2021, che aveva iniziato primariamente le vaccinazioni l’8 dicembre 2020, mirate in particolare ai soggetti “over” 80 e fragili, tutto il mondo si è allineato, in particolare tenendo conto anche delle terapie orali e degli anticorpi monoclonali con un virus che pur mantenendo la sua contagiosità si è ridotto nella sua virulenza. Il continente africano si è distinto per la sua endemicità legata alle zoonosi della famiglia dei beta coronavirus. Infine si da particolare importanza all’infezione naturale da COVID-19 e alla risposta immunitaria con l’esonero vaccinale a causa del rischio di trombi per mutazione genetica e sovraccarico anticorpale (Tarro G. On the End of a Nithmare (COVID-19). The Role of the Immune System. British Journal of Helthcare and Medical Research – vol 9, n. 6, December 25,2022).

Secondo lei la vicenda del Covid è finita qui ? Oppure nel lungo periodo possono subentrare nuove varianti?

Su “Science” del 6 maggio 2022 è stato pubblicato un interessante lavoro di Juliet R. C. Pulliam ed altri colleghi sulla situazione presentatasi in Sud Africa dopo la seconda, variante beta, la terza variante delta, e la quarta ondata con la variante omicron. Il quesito che si sono posti gli studiosi citati era la capacità di reinfezione di quelli che avevano già presentato una infezione naturale precedente.

Gli autori hanno preso in considerazione con data a partire dal 4 marzo 2020 fino al 31 gennaio 2022 105.323,00 reinfezioni sospette su 2.943.248,00 infezioni confermate in laboratorio. La reinfezione nei riguardi della infezione primaria è risultata più bassa durante le ondate dovute alle varianti beta e delta rispetto alla prima ondata. Al contrario la recente propagazione della variante omicron è stata associata con un aumento del coefficiente di reinfezione. Queste infezioni sono risultate da evasione immunitaria piuttosto che da una debolezza immunitaria.

La variante omicron è associata con una marcata abilità ad evadere l’immunità delle precedenti infezioni.

Non vi è stata alcuna evidenza epidemiologica di evitare l’immunità con le varianti beta e delta. Vi sono importanti implicazioni sanitarie in paesi come il Sud Africa con alto grado di immunità per le precedenti infezioni. L’ulteriore sviluppo di metodologie per seguire le reinfezioni con nuovi ceppi emergenti tiene in considerazione la protezione derivata dai vaccini e riesce a monitorare il rischio di reinfezioni multiple in prospettiva di profilassi per future epidemie.

Dal momento che la omicron 5 è la nuova mutazione della COVID-19 circolante adesso in Italia, pensiamo che sia logico confermare e ricordare quanto studiato dagli studiosi africani che sono stati i primi ad avere a che fare con queste varianti. L’obiettivo del virus è evidente: quello di convivere con i nostri organismi.

Infatti, la COVID-19 è ormai endemica ed il rischio maggiore oggi è quello della infodemia, vale a dire l’epidemia di informazioni espresse da medici che hanno dimenticato il giuramento di Ippocrate, da politici interessati a beneficiare della paura generale e da giornalisti compiacenti.

Una ultima considerazione. Ci siamo dimenticati del percorso fatto dall’homo sapiens che si è evoluto per millenni tra virus e batteri, partendo dall’Africa centrale verso il Mediterraneo e quindi l’Eurasia. Vaiolo e peste hanno persino influito sulla presenza e formazione dei gruppi sanguigni. L’importanza del rapporto tra esseri umani e microrganismi come virus e batteri non va sottovalutata nella storia dell’evoluzione. E non deve quindi sorprendere se chi ha avuto la Covid 19 è protetto a livello immunitario molto più di chi si è vaccinato.

Riguardo la malattia del secolo, ovvero il tumore, cosa può dirci? Si arriverà ad una cura definitiva?

Il grande successo della prevenzione oncologica si è ottenuto all’inizio del 2020 quando con la sopravvivenza delle donne affette da tumore mammario, trattato efficacemente, è stata pari a quelli dei soggetti senza tumori. Purtroppo l’epidemia da COVID-19 ha fatto si che in Europa nel 2020 vi sia stato un ritardo di diagnosi precoce oncologica per un milione di soggetti. Questo risultato rappresenta certamente il peggior dato di comunicazione legato agli effetti pandemici.

L’obiettivo della prevenzione dei tumori è quello di mettere in ‘atto tutto ciò che oggi si può fare per impedire che il cancro si formi. Nonostante sia opinione prevalente che non c’è molto da fare per evitarlo, si va finalmente facendo strada un diverso concetto che dà credito all’importanza della prevenzione come fattore primario per la lotta ai tumori.

Infatti le cause del cancro non sono sconosciute, come talora si dice, tutt’altro, ce ne sono forse troppe: oltre mille sostanze chimiche cancerogene, almeno cento virus oncogeni, infine le radiazioni ionizzanti o di una certa lunghezza d’onda. La maggior parte di queste cause è sotto il controllo dell’uomo, solo che si applichi quanto è oggi conoscenza comune: pertanto i rischi del cosiddetto male del secolo possono essere ridotti in base alle scelte che l’uomo può fare soprattutto per quanto riguarda le modalità di vita.

Il mistero dei tumori non è quindi sull’origine, ma sul meccanismo di come i vari fattori agiscono affinché la cellula da normale diventi cancerosa, praticamente impazzisca, sottraendosi al controllo dell’organismo e moltiplicandosi senza fine.

Se si guarda alle cifre di incidenza e di mortalità da cancro per anno, scaturisce un punto importante rappresentato dalla riduzione percentuale e dall’incidenza di alcuni tumori, nonché dalla mortalità totale: solo il 35% di sopravvivenza a 5 anni fino a 25 anni addietro.

Anche se le cifre italiane sono inferiori a quelle americane per quanto concerne la sopravvivenza, le prospettive in USA sono piene di speranza soprattutto per la possibilità nei prossimi anni di abbassare la mortalità di ben 200.000 morti per anno, sfruttando la battaglia al fumo (75.000), il miglioramento della dieta alimentare (20.000) ed il trattamento terapeutico basato sulla diagnosi precoce (105.000); e quindi mirando ad un obiettivo controllo dei tumori.

Cosa ne pensa del sistema ospedaliero italiano? E’ all’avanguardia rispetto agli altri paesi?

Prendiamo lo spunto dall’ultima epidemia da COVID-19: «Fermo restando che il problema va visto sempre in ottica europea, ritengo che siano misure decise con una tempistica poco felice: varate in ritardo sull’effettiva convenienza ma al momento giusto, se vogliamo dire così, per aumentare stress e panico. Stress e panico di cui qualcuno sicuramente pagherà il conto. È acclarato che in Italia il virus circolava probabilmente già da moltissimo tempo. In Lombardia è scoppiata una “bomba atomica”, tutto in un lasso di tempo troppo breve a fronte della capacità del Sistema Sanitario. L’Italia ha chiuso i voli diretti con la Cina, senza controllare gli arrivi indiretti attraverso gli scali e quindi è stato possibile aggirare il divieto. A tutto questo si aggiunge lo sfascio del nostro Sistema Sanitario Nazionale: dal 1997 al 2015 sono stati ridotti del 51% i posti letto delle terapie intensive. A gennaio quando si è saputo dell’epidemia in Cina, l’Italia non ha fatto nulla. La Francia – che non aveva nel tempo ridotto le terapie intensive – a inizio anno si è preparata e le ha raddoppiate. Noi no, siamo arrivati tardi. Sarebbe stato opportuno, per esempio, pensare per tempo a un raddoppio dei reparti di terapia intensiva.

A ciò si deve aggiungere l’esistenza dei tuttologi, ma soprattutto le tante, troppe, divisioni nell’ambiente scientifico, a mio avviso, a tratti persino pretestuose».

Come è ovvio, l’irrompere sulla scena della genetica molecolare e, quindi della possibilità di manipolare il corredo genetico dei gameti ha ridato fiato ai fautori di una eugenetica come potenziale artefice di un “miglioramento” di alcuni genotipi umani. La prima autorizzazione a una terapia genica è stata concessa in USA dalla FDA il 14 settembre 1990 a favore di una bambina con grave immunodeficienza. In questo caso, la mancanza di un singolo gene strutturale recessivo in cellule a marcata attività proliferativa, come la deficienza di adenosino-deaminasi nei linfoblasti, è stata felicemente risolta con reintroduzione di cellule del sangue opportunamente trattate. Va da sé che questo intervento, che ha permesso alla bambina di vivere una vita normale, è stato, quasi unanimemente, salutato positivamente anche se non pochi hanno fatto notare che l’estendersi di una terapia genica rischia, in nome di un “miglioramento della specie umana” di compromettere l’identità genetica della specie. Le premesse per la catastrofe ci sono tutte: la legittima pretesa di evitare ai propri figli malattie ereditarie, l’illusione che si possa asservire completamente la natura, il business che già si è creato intorno a questo settore.

“La ricerca della verità è più preziosa del possederla” annotava Albert Einstein che subito dopo aggiungeva “L’immaginazione vale più della conoscenza”. Questi aforismi, apparentemente contraddittori, delineano un discorso sull’intrinseco valore della ricerca che va al di là delle sue applicazioni “pratiche” e che, a differenza delle ideologie, connota un innato impulso, l’essenza stessa del genere umano: la curiosità. Ci sono certo altri appagamenti che possono investire il ricercatore: la ricchezza, il potere, la fama… ma niente, assolutamente niente, può sostituire l’avventura della scoperta, il piacere di vedere quelle che erano vaghe deduzioni trasformarsi in inoppugnabili esperimenti. Va da sé, sopratutto in una società così complessa come la nostra, che la ricerca in particolare quella scientifica, e ancora di più quella medica, non può certo essere ridotta ad un mero diletto del ricercatore. Anche perché le ricadute di una scoperta scientifica possono essere devastanti. La scienza – purtroppo o per fortuna – non è pura. La scienza è già animata da un’intenzione tecnica: guarda il mondo per modificarlo. “Scientia est potentia”, diceva Bacone. Nasce da qui, dall’esigenza di conciliare l’insopprimibile necessità di una ricerca libera con le ricadute di questa sulla società, il fiorire di tutta una serie di riflessioni filosofiche e considerazioni scientifiche che prendono il nome di bioetica.

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