Purtroppo, ora che è venuto il tempo dei bilanci di una vita, mi rendo conto che sto vivendo in un paese ben diverso da quello che avevo sognato in gioventù. Da un pò uso l’espressione: strage delle illusioni. Carlo Azeglio Ciampi
L’Italia è un paese ben diverso da quello sognato dalla generazione uscita dalla tragedia del fascismo. Certo siamo un paese enormemente più ricco di quello dei nostri nonni. Ma siamo un paese più giusto? Ed il merito è solo un valore etico o è anche un metro di misura di efficienza della nostra economia rispetto alle altre?
La meritocrazia è l’idea che il successo sociale ed economico debba riflettere il talento, l’impegno e le capacità di una persona. Nessuno di noi si farebbe operare al cuore da un idraulico o farebbe riparare il rubinetto di casa da un chirurgo. Un sistema economico che funziona deve necessariamente premiare il merito ed ammettere una verità che è sotto gli occhi di tutti.
Abbiamo tutti gli stessi diritti ma non abbiamo tutti le stesse capacità.
La parabola dei talenti del Vangelo ci ricorda in maniera plastica questa verità. I talenti non sono distribuiti in maniera uguale tra gli uomini. Ognuno ha il suo, e sfruttarlo per migliorare sé stessi e la collettività è un dovere prima che un diritto.
Il merito non è sinonimo di concorrenza ultraliberista a tutti i costi. Se è vero che solo in un’economia di mercato e liberale, il merito può essere una discriminante nella scalata sociale, è altrettanto vero che l’economia di mercato senza correttivi porta all’oligopolio e dunque al privilegio, non certo al merito. Ai blocchi di partenza gli uomini non sono affatto tutti allineati e, se lo Stato non si adopera per appianare le differenze, non è affatto detto che ad emergere siano i più bravi, ma solo quelli che hanno la fortuna di nascere in una famiglia che gli permette un’adeguata istruzione e delle possibilità di lavoro adeguate.
L’uguaglianza fondamentale è l’uguaglianza delle opportunità[1].
Altro indubitabile vantaggio della meritocrazia è il senso di appartenenza alle istituzioni ed alle aziende. Istituzioni ed Aziende meritocratiche producono personale altamente motivato e standard etici elevati. Al contrario, quando il merito non viene premiato, si ha una naturale tendenza all’appiattimento ed alla mediocrità anche nei lavoratori, che, per i propri sistemi etici, tenderebbero a dare il massimo nella loro attività lavorativa.
Ma chi me lo fa fare tanto…
Oltre ad essere un fondamentale valore etico il merito è un valore economico irrinunciabile.
Un’economia moderna basata sulla conoscenza richiede una struttura di incentivi che premi il merito rispetto al privilegio.
L’apertura ai mercati e la globalizzazione attuata in maniera ideologica e sconsiderata ha una storica colpa cioè quella di aver creato la cultura dello scarto, dove si tende a monetizzare anche valori intangibili, come la vita e l’ambiente che ci circonda, in nome del profitto e dell’efficienza.
La globalizzazione ha però una grande dote, ponendoci in concorrenza con sistemi economici dove il merito viene maggiormente premiato, ci obbliga a “stare al passo”, rendendo sostanzialmente intollerabile la giungla di piccoli, grandi privilegi che ingabbia la nostra italica creatività, che pure ci viene riconosciuta da tutti i popoli del mondo.
Qualche dato esemplificativo che purtroppo misura e sintetizza il ritardo sul merito del nostro sistema economico rispetto alle altre nazioni.
In Italia lo stipendio di un laureato è superiore del 53% rispetto a quello di un diplomato. Questo dato si confronta con il 63% in Francia e Germania, il 74% nel Regno Unito e l’81% negli Stati Uniti. Insieme ai costi sostenuti per lo studio, questo genera un rendimento dell’istruzione universitaria del 7,5%, cioè meno della metà di quello degli Stati Uniti, della Francia e del Regno Unito.
In un’economia della conoscenza la ricerca è il motore fondamentale dello sviluppo ed un sistema meritocratico tende a produrre buona ricerca proprio perché i più bravi tendono ad emergere.
Nonostante il nostro, forse sopravvalutato, genio italico, in Italia si depositano 535 domande di brevetto ogni milione di abitanti ponendoci al 23° tra i 35 paesi più avanzati. La piccola Svizzera per fare un esempio ne registra più di cinquemila. A testimonianza che, senza un’adeguata remunerazione dei talenti da parte delle imprese e delle istituzioni, è difficile innovare.
In una nazione dove i più bravi non riescono ad emergere spesso se ne vanno.
Anche in questo caso il dato è impressionante. In base ai dati Istat nel decennio 2011-2021, gli italiani che hanno cancellato la residenza in Italia per trasferirsi all’estero sono stati 899.000. La loro età media è stata di 33 anni. Di questi 208.000 erano laureati.
Che fare?
Favorire l’interesse di molti rispetto a quello di pochi, cioè combattere le innumerevoli lobby ed interessi di categoria che bloccano il sistema nei confronti della meritocrazia.
Intendiamoci, le lobby organizzate sono organismi legittimi ed utili in tutti i sistemi democratici, in quanto portano all’attenzione del decisore politico le dinamiche e gli interessi di una categoria. Va inoltre sottolineato il ruolo delle lobby nell’illustrare le problematiche tecniche di categoria che possono essere ignorate da chi costruisce le regole.
Il problema sorge quando gli interessi corporativi sono toppo potenti rispetto alla politica, tanto da influire sul processo di produzione delle norme perpetuando privilegi ed impedendo una sana concorrenza tra gli attori del settore.
Tra queste Lobby a mio avviso la più dannosa è quella dei burocrati, che spesso scrivono norme incomprensibili, fondandosi su modelli puramente teorici che risultano poco praticabili nell’operatività giornaliera da imprese ed enti pubblici.
Giovanni Giolitti, più volte presidente del consiglio tra 1882 e 1922, affermò che le leggi in Italia sono complesse perché sono da applicare ai nemici e da interpretare per gli amici, l’opposto del principio fondante del diritto romano secondo il quale in claris non fit interpretatio, cioè le leggi ben fatte non danno mai luogo a diverse e contrastanti interpretazioni.
Per approfondimenti
Codogno, Lorenzo; Galli, Giampaolo. Crescita economica e meritocrazia (Italian Edition) (p.165). Società editrice il Mulino, Spa.
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Art 34 Costituzione Italiana I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso. ↑